(all'Edizione critica dei Quaderni
del carcere, Einaudi, Torino 1977)
I criteri seguiti nella realizzazione di questa nuova edizione dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, pur corrispondendo nell'ispirazione a quelli già enunciati a suo tempo quando tale edizione fu progettata1, non possono essere adeguatamente motivati senza insistere sulla travagliata genesi dell’opera e della sua fortuna. Da quest'aspetto le controversie interpretative sollevate dall'opera gramsciana preferiscono di solito prescindere. Si tende a considerare questa genesi come un semplice dato di fatto, una circostanza esterna, qualcosa cioè a cui non deve darsi eccessivo peso nella valutazione dell'importanza e del significato teorico dell'opera. Si può riconoscere in tale atteggiamento un elemento positivo: il rifiuto a ridurre il valore dell'opera gramsciana nei limiti di una dimensione eroico-sentimentale di «testimonianza del tempo», suscettibile soltanto di rievocazioni commemorative. Non vi è dubbio tuttavia che distogliere il tessuto di determinate nozioni teoriche dal modo con cui esso si è formato esponga più facilmente al rischio di fraintenderlo, e ciò nel caso di Gramsci è successo più di una volta.
Qualcosa di simile è accaduto del resto anche per i giudizi sull'uomo Gramsci. L'ombra della leggenda ha sempre accompagnato la sua attività e la sua opera. Oggetto di odi implacabili e di sarcasmi sprezzanti per il modo con cui si era impegnato nella lotta politica, poteva suscitare per lo stesso motivo un'ammirazione che sconfinava spesso nell'iperbole o in amplificazioni deformanti. Anche nel noto ritratto tracciato da Gobetti nel 1924 per «La Rivoluzione liberale»2, quando Gramsci fu eletto deputato in un Parlamento già fascistizzato, sono inseriti alcuni elementi leggendari: vi è l'immagine di un Gramsci come «profeta» rivoluzionario («più che un tattico o un combattente»), e vi sono altri tratti in cui appare riflesso più il carattere del ritrattista che quello del suo modello. Non si può dire che quella immagine fosse falsa, senza alcun rapporto con la realtà. Si deve dire piuttosto che in questo Gramsci gobettiano, come in altre raffigurazioni leggendarie evocate in questo stesso periodo, la realtà è trasfigurata, diventa soprattutto messaggio d'azione, fonte di ripercussioni emotive, almeno fino a quando esso riesca a trovare destinatari appassionati.
Certo non erano allora molti questi destinatari; nell'ombra
discontinua della sua leggenda i vuoti prevalevano forse sui
pieni. Nel 1927, ancor prima che fosse celebrato il processo del
Tribunale Speciale, Togliatti scriveva su «Lo Stato
operaio», la rivista del partito comunista italiano
pubblicata nell'emigrazione, il suo primo articolo su Gramsci,
«un capo della classe operaia»: «La storia del
nostro partito è ancora da scrivere. Chi la
scriverà, e saprà cogliere, al di sopra delle
particolari vicende politiche e amministrative, la grande linea
della formazione storica di esso come avanguardia della classe
operaia, dovrà dare ad Antonio Gramsci il posto
d'onore»3. Poteva però anche accadere che
di li a poco, quando Gramsci arriverà nel reclusorio di
Turi per scontarvi la pena inflittagli dal Tribunale Speciale, i
primi detenuti politici, anche quelli del suo stesso partito, con
cui prende contatto, ignorassero perfino il suo nome e
accogliessero il nuovo venuto come «uno qualunque»4.
Lo stesso Gramsci ha lasciato una descrizione colorita
dell'esperienza che aveva potuto fare della propria
«fama» durante le peregrinazioni per le carceri
italiane nei primi mesi di detenzione. In una lettera del 19
febbraio 1927 (scritta per rallegrare la cognata in apprensione
per la sua sorte) troviamo queste annotazioni divertite: «Io
non sono conosciuto all'infuori di una cerchia abbastanza
ristretta; il mio nome è storpiato perciò in tutti i
modi più inverosimili: Gramasci, Granusci, Gramisci,
Granisci, Gramasci, fino a Garamàscon, con tutti gli
intermedi più bizzarri». Nel carcere di Palermo,
durante un «transito», un anarchico
ultraindividualista, che rifiutava ogni nome che non fosse
«l'Unico» («sono l'Unico e basta») lo
presenta a un altro detenuto: «Mi presentò: l'altro
mi guardò a lungo, poi domandò: "Gramsci, Antonio?"
Si, Antonio!, risposi. "Non può essere, replicò,
perché Antonio Gramsci deve essere un gigante e non un uomo
così piccolo". Non disse più nulla, si ritirò
in un angolo [...] e stette, come Mario sulle rovine di Cartagine,
a meditare sulle proprie illusioni perdute». Più
tardi anche il brigadiere della scorta, che gli chiede durante
l'appello se fosse parente del «famoso deputato
Gramsci», prova sconcerto nell'apprendere che era proprio il
«famoso deputato» il recluso affidato alle sue cure:
«Mi disse che si era immaginato sempre la mia persona come
"ciclopica" e che era molto disilluso da questo punto di
vista». Ma poi non rinuncia a esibirgli la sua variopinta
cultura da autodidatta, e a un certo punto comincia a chiamarlo
«maestro»5.
In questi episodi, per quanto marginali, è lecito vedere il segno emblematico dei limiti a cui andava soggetta la diffusione di una leggenda affidata in gran parte a una tradizione orale, alle testimonianze degli amici e dei compagni di lotta. Indirettamente anche Gramsci aveva contribuito, senza volerlo, a determinare questi limiti, con il suo rifiuto, ad esempio, di autorizzare raccolte dei suoi scritti giornalistici, apparsi per la maggior parte anonimi sul «Grido del popolo» e sull’«Avanti!» torinese, su «L'Ordine Nuovo» settimanale, e poi su tutti gli organi di stampa del nuovo partito comunista. Le ragioni di moralità culturale con cui egli ha giustificato questo rifiuto (parlando di scritti alla giornata, che dovevano morire «dopo la giornata») non dicono forse tutto. Di più certo aiuta a comprendere il carattere dell'uomo che influisce profondamente, se non andiamo errati, sul carattere della sua opera — quello sforzo continuo di costruzione di se stesso che è il connotato più originale e inconfondibile della sua personalità quale emerge dai Quaderni e dalle Lettere dal carcere. In questa faticosa costruzione di se stesso Gramsci non ha mai visto il compito di un «gigante», bensì piuttosto il semplice dovere di un «uomo medio».
Così in una pagina famosa dei Quaderni poteva parlare
della propria esperienza come peculiare ad un «triplice o
quadruplice provinciale» i cui processi vitali «sono
caratterizzati dal continuo tentativo di superare un modo di
vivere e di pensare arretrato»6 e in una lettera
meno nota (del novembre 1927) sentiva il bisogno di reagire ad
alcune manifestazioni di panico che gli era parso di avvertire in
atteggiamenti di persone della sua famiglia, ricordando le
sofferenze patite fin dalla giovinezza e le condizioni penose che
gli avevano temprato il carattere: «Mi sono convinto che
anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi
tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio. Mi sono
convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle
proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non
procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò
che si sa e si può fare e andare per la propria via. La mia
posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi
mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire
né l'eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che
ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al
mondo»7.
Anche se si volesse pensare che questa «posizione morale» non abbia molto a che fare con il contenuto dei Quaderni, con i temi politico-teorici che oggi interessano il lettore contemporaneo, è difficile negare che abbia a che fare con la loro genesi e struttura. Gramsci inizia la stesura dei Quaderni, nel carcere di Turi, l'8 febbraio 1929, esattamente due anni e tre mesi dopo l'arresto (8 novembre 1926). La lentezza di questa gestazione dipende solo in parte da condizioni esterne. Prigioniero di quel regime in cui il marxismo è diventato un reato, egli sa di dover essere preparato a tutto : anche a «sparire come un sasso nell'oceano» (è questa la prima impressione che riceve quando nel carcere romano di Regina Coeli apprende, erroneamente, di essere destinato alla deportazione in Somalia)8. Nell'incertezza della sorte che l'attende, anche quando sembra aprirsi per un momento lo spiraglio di una prospettiva meno pessimistica, il problema dello studio gli si presenta inizialmente come un sistema di autodifesa contro il pericolo di abbrutimento intellettuale da cui si sente minacciato. Ad Ustica, quando chiede, e ottiene, il fraterno aiuto dell'amico Piero Sraffa per un rifornimento regolare di libri e riviste, è a questo soprattutto che pensa9.
Ma Ustica non è che una breve parentesi (con qualche
aspetto non del tutto sgradevole, dopo i sedici giorni passati a
Regina Coeli nel più completo isolamento), e nel carcere
di.Milano, in attesa del processo (7 febbraio 1927-11 maggio
1928), il problema dello studio si ripresenta in una forma
più assillante, per la confluenza di esigenze contrastanti.
Leggere e studiare per occupare il tempo in modo utile, per
difendersi dalla degradazione intellettuale e morale a cui
sospinge la vita carceraria, continua ancora ad apparire come
un'esigenza vitale, a condizione però che essa trovi uno
scopo superiore, in un risultato perseguito per se stesso, e non
solo come mezzo strumentale per sopravvivere fisicamente. Tra lo
studio come ragione di vita e lo studio come mezzo di
sopravvivenza si determina una tensione che non è facile
risolvere in termini di equilibrio. Da questa tensione sorge la
prima idea dei futuri Quaderni.
L'idea, legata a un primo programma di lavoro, è esposta
nella nota lettera a Tania del 19 marzo 1927. Qui Gramsci comincia
intanto col registrare come lo studio sia «molto più
difficile di quanto non sembrerebbe». Per leggere, legge
molto («più di un volume al giorno, oltre i
giornali»). Ma non ne è soddisfatto: «Sono
assillato (è questo fenomeno proprio dei carcerati, penso)
da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa "für ewig",
secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver
tormentato molto il nostro Pascoli. Insomma, vorrei, secondo un
piano prestabilito, occuparmi intensamente e sistematicamente di
qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita
interiore». Segue la traccia di un «piano»
articolato in quattro punti, il primo dei quali appare certo il
più significativo e rimarrà caratterizzante per lo
svolgimento del lavoro concreto dei Quaderni-, «una ricerca
sulla formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo
scorso», cioè «sugli intellettuali italiani, le
loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della
cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc.». In
questo «ecc. ecc.» è da comprendere in primo
luogo il legame dei tema con quel programma di azione politica che
ha portato Gramsci in carcere: vi accenna in fondo egli stesso
richiamando poco dopo, per chiarire la natura dell'argomento, il
suo saggio sulla questione meridionale scritto poco prima
dell'arresto: «Ebbene, vorrei svolgere ampiamente la tesi
che avevo allora abbozzato, da un punto di vista disinteressato",
"für ewig "»10.
Questa insistenza sul «für ewig», sul carattere «disinteressato» della ricerca, dovrà poi provocare in qualcuno non poche perplessità, derivanti soprattutto dalla propensione ad accreditare una versione pragmatica del marxismo. Un segno di disimpegno politico, una tentazione metafisica? In realtà, rispetto a una interpretazione così semplificante Gramsci si era preventivamente premurato di sottolineare la complessità della concezione goethiana del «für ewig»; ma neanche può sfuggire quel suo richiamo inconsueto a Pascoli, un autore a lui così poco congeniale, se si pensa che proprio in una lirica pascoliana il significato di «per sempre» è legato all'idea della morte. Anche se l'idea della propria morte gli era già diventata familiare e questa familiarità aveva segnato, come egli stesso ricorda, una «svolta morale» nella sua esistenza11 —, Gramsci non si era mai rassegnato ad accettarla come un fato ineluttabile, come un contrassegno d'impotenza. Non aveva scelto la parte del martire o dell'eroe, e voleva essere soltanto, come s'è visto, «un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo».
Ma i due canali principali di cui si era servito, prima
dell'arresto, per diffondere queste sue convinzioni — la
conversazione orale e la parola scritta sul giornale —, si erano
ora ostruiti, e non era facile sostituirli. Se per il primo, il
canale della conversazione orale (e si sa, per testimonianze
concordi, quale importanza esso abbia avuto per Gramsci, che non
era un oratore da comizi), poteva sforzarsi di trovare un
succedaneo nella scarna corrispondenza che gli era concesso di
tenere, per il secondo il problema della trasformazione appariva
ancor più complesso e difficile. Bisognava scrivere, non
per un pubblico immediato, per raggiungere effetti immediati, su
argomenti condizionati da circostanze esterne immediate, ma per
lettori ideali presuntivi, senza sapere se e quando essi si
sarebbero incarnati in lettori reali. La scelta degli argomenti, e
in primo luogo del «piano» della ricerca, doveva
essere quindi svincolata dai limiti dell'immediatezza e non poteva
che scaturire da uno sforzo di approfondimento teorico di tutta la
sua esperienza (dalla centralizzazione della sua vita interiore,
secondo l'espressione dello stesso Gramsci).
Un'idea ben chiara, che tuttavia richiede ancora, per passare alla fase di realizzazione, un lungo collaudo preliminare. Già nel momento in cui l'idea è esposta nella lettera citata del 19 marzo Gramsci non nasconde alcune esitazioni e sembra interrogarsi sulla validità del suo progetto. Il fatto stesso di aver pensato a quattro argomenti distinti provoca in lui qualche perplessità («già questo è un indice che non riesco a raccogliermi»), ma poi sottolinea che in fondo «a chi ben osservi» esiste tra loro una certa omogeneità: «lo spirito popolare creativo nelle sue diverse fasi e gradi di sviluppo, è alla base di essi in misura uguale». In realtà, attorno a questo asse omogeneo si muovono esperienze assai diverse, e anche distanziate nel tempo: il primo argomento rinvia alle riflessioni sulla funzione degli intellettuali italiani nello sviluppo della questione meridionale, sulla base del recente abbozzo del 1926; il secondo riporta ai suoi primi studi giovanili, alla scuola di Matteo Bartoli, nell'Università di Torino, con un nuovo progetto di studio di linguistica comparata (e qui il «für ewig» ritorna con una variante ironica: «che cosa potrebbe essere più "disinteressato" e "für ewig" di ciò?»); il terzo e quarto argomento infine (uno studio sul teatro di Pirandello e «un saggio sui romanzi d'appendice e il gusto popolare in letteratura») riflettono l'esperienza del Gramsci critico teatrale tra il 1915 e il 1920.
Sebbene in misura diversa, tutti questi fili risulteranno poi
effettivamente intrecciati, insieme a molti altri, nel tessuto
unitario dei Quaderni; ma in quel primo progetto le linee del
quadro non potevano che apparire incerte, e per precisarle
occorreva ancora molto lavoro, di verifiche e di scavo interiore.
Un lavoro tanto più impegnativo se si pensa alle
drammatiche esperienze storiche di cui Gramsci è stato
partecipe nell'ultimo decennio, e che sono lo sfondo implicito di
queste sue ricerche, non tanto come loro cornice quanto piuttosto
come loro fondamentale ragion d'essere: guerra e dopoguerra,
sviluppo e crisi del movimento operaio, rivoluzione d'Ottobre e
Internazionale comunista, lotta delle masse e crisi dello Stato,
nascita e avvento del fascismo.
Si capisce anche come Gramsci sentisse il bisogno, già in questa prima fase del suo progetto, di cercare uno stimolo dialogico per evitare di rinchiudersi in riflessioni troppo solitarie; si sa ad esempio di una sua lettera a Bordiga per esporgli l'idea del lavoro sugli «intellettuali italiani» e per chiedergli di assumere la parte di «avvocato del diavolo»11. Ma questo tipo di dialogo, tutt'altro che facile anche in condizioni ordinarie, doveva risultare semplicemente impossibile nella situazione del tutto aleatoria delle comunicazioni intercarcerarie, e Gramsci deve rendersi conto ben presto che ancora una volta non può contare che sulle proprie forze. Queste forze d'altra parte andavano difese, reintegrate e protette dagli squilibri psicologici indotti dalla vita carceraria; inoltre per tutto il periodo della detenzione a Milano Gramsci non riesce a ottenere l'uso dei mezzi materiali necessari per scrivere in cella, e ciò lo costringe al metodo" delle letture disordinate che finiscono con lo svuotarsi di ogni interesse nel momento in cui rischia di andare smarrito il filo conduttore del suo progetto iniziale. In questa situazione l'idea di una ricerca «disinteressata» e «für ewig» dovrà essere temporaneamente accantonata. Sembra anzi — ma questa è solo un'apparenza — che per qualche tempo Gramsci preferisca ripiegare su un tipo di studio visto nei limiti di un semplice mezzo terapeutico, da combinare quindi con altri mezzi della stessa natura.
Così in una lettera del 23 maggio 1927 comunica a Tania di
essersi dedicato regolarmente ad alcuni quotidiani esercizi
fisici, che ritiene gli giovino «anche
psicologicamente» perché lo distraggono
«specialmente dalle letture troppo insulse e fatte solo per
ammazzare il tempo» : «un vero e proprio studio credo
che mi sia impossibile, per tante ragioni, non solo psicologiche,
ma anche tecniche; mi è molto difficile abbandonarmi
completamente a un argomento o a una materia e sprofondarmi solo
in essa, proprio come si fa quando si studia sul serio, in modo da
cogliere tutti i rapporti possibili e connetterli
armonicamente». Per questo pensa invece di dedicarsi allo
studio delle lingue in modo sistematico, a cominciare dallo studio
grammaticale (senza più accontentarsi di sapere quanto
basta «per parlare e specialmente per leggere»), e
progetta una serie di esercizi di traduzione, che saranno poi
ripresi e continuati anche nel futuro lavoro dei Quaderni. In
definitiva, chiarisce: «sono proprio deciso a fare dello
studio delle lingue la mia occupazione predominante»12.
Non sarà tuttavia questa decisione tra quelle destinate ad
essere mantenute. Non solo perché, per un organismo come
quello di Gramsci, nessun mezzo sarebbe risultato adatto allo
scopo al di là di un breve periodo di cattività, ma
anche perché in realtà mai Gramsci riuscirà a
distaccarsi da quell'ordine di pensieri che gli avevano ispirato
il progetto iniziale di un lavoro «für ewig».
Già nel momento stesso in cui proclamava la sua decisione
di fare dello studio delle lingue la sua «occupazione
predominante», parlava poi dei libri della sua
«biblioteca permanente»: «cioè dei libri
di mia proprietà, che scorro continuamente e che cerco di
studiare»13. E non si tratta di libri che abbiano
a che fare con lo studio delle lingue. Inoltre non rinuncia a
servirsi della biblioteca del carcere, e non sempre trova queste
letture del tutto insulse, utili solo ad «ammazzare il
tempo»: si vanta anzi di saper «razzolare» anche
nei « letamai» (o di riuscire a «cavar sangue
anche da una rapa»), cioè di possedere «una
capacità abbastanza felice di trovare un qualche lato
interessante anche nella più bassa produzione intellettuale14.
Sta di fatto che tali letture disordinate documentate,
almeno in parte, nell'epistolario di questo periodo non andranno
del tutto perdute, e anche di esse si trovano precise tracce nel
futuro lavoro dei Quaderni.
Quando infine questo lavoro potrà essere concretamente
iniziato, nella solitudine di una cella del reclusorio di Turi,
molte cose sono cambiate, e non certo in meglio dal punto di vista
psicologico. La prospettiva di una lunga detenzione (garantita
ormai dalla «sentenza» del Tribunale Speciale)
potrebbe apparire astrattamente una condizione propizia per
un'analisi teorica concepita «für ewig»; ma molto
meno propizia per un detenuto come Gramsci che non è mai
riuscito ad abituarsi — anche perché nemmeno voleva
abituarsi — alle angustie e alle sofferenze della vita carceraria.
Le Lettere ci attestano come queste sofferenze si siano non
attutite, ma aggravate, fino a diventare laceranti, col
trascorrere del tempo che demoliva implacabilmente le resistenze
fisiologiche del suo organismo. Le prime avvisaglie di questa
progressiva demolizione le avverte pochi mesi dopo il suo arrivo a
Turi (19 luglio 1928): in dicembre un attacco di acidi urici non
gli permette più di muoversi senza difficoltà, e per
camminare durante le ore del «passeggio» ha bisogno
per qualche tempo del sostegno di altri detenuti. È in
queste condizioni che gli arriva infine il permesso per scrivere
in cella. Rimossa così l'impossibilità tecnica che
si era opposta fino a quel momento alla realizzazione del suo
progetto, si trattava di superare le difficoltà
psicologiche che lo stesso Gramsci aveva potuto sperimentare nei
due anni precedenti. Prende per questo due misure, che almeno per
qualche tempo si riveleranno utili: la prima è di evitare
la casualità delle letture che lo distrae dalla riflessione
intorno ai punti specifici del suo piano di lavoro15;
la seconda è di dedicare una parte del suo tempo a una
serie di esercizi di traduzione che gli servono per «rifarsi
la mano» e per «distendere i nervi»16.
L'inizio della stesura dei Quaderni ha quindi, ancora una volta,
un andamento lento, almeno per la parte creativa, relativamente
allo svolgimento del piano di lavoro che egli si è
proposto. Un abbozzo di tale piano, molto più articolato
del primo programma delineato nella lettera ricordata del 19 marzo
1927, ma tuttavia con la stessa ispirazione, apre quello che
Gramsci intitola «Primo Quaderno» (segnando la data
d'inizio: 8 febbraio 1929)17, ma per l'inizio effettivo
della stesura regolare delle note lascia passare ancora alcuni
mesi : ha bisogno prima di rimettere ordine nei suoi pensieri,
mentre si dedica alla fatica distensiva degli esercizi di
traduzione. Dalla seconda metà del 1929 il lavoro tuttavia
appare avviato in modo regolare, e sembra raggiunto un relativo
equilibrio tra lo svolgimento del piano di lavoro dei Quaderni e
l'uso del «mezzo terapeutico» degli esercizi di
traduzione. Questa fase dura per circa due anni, fino ai primi di
agosto del 1931, quando Gramsci è colpito improvvisamente
da una prima grave crisi del suo organismo logorato18.
In questo periodo aveva iniziato, e in gran parte completato,
dieci quaderni, di cui tre di soli esercizi di traduzione. Anche
escludendo questi ultimi, il lavoro, come ora si può
constatare, si era sviluppato in modo assai ampio e analitico, con
caratteristiche di frammentarietà che lasciano però
chiaramente intravedere il disegno unitario della ricerca.
Rispetto al piano originario si nota una certa disuguaglianza di
sviluppi: alcuni temi sono stati soltanto sfiorati, mentre altri
nuovi, che non erano stati esplicitamente previsti, sono stati
aggiunti e sviluppati con notevole ampiezza. La metodologia di
Gramsci sente l'attrazione del «particolare» e non
è disposta a rinunciare all'esigenza di penetrarlo nella
sua carica simbolica o semplicemente di annotarlo come premessa
filologica delle future ricerche; egli però avverte al
tempo stesso il pericolo di dispersione derivante da questo metodo
di lavoro, e si sforza quindi di concentrare la sua attenzione sui
temi che più gli sembrano adatti ad annodare e conglobare
tutti gli altri. In una lettera del 17 novembre 1930 scrive:
«Mi sono fissato su tre o quattro argomenti principali, uno
dei quali è quello della funzione cosmopolita che hanno
avuto gli intellettuali italiani fino al Settecento, che poi si
scinde in tante sezioni: il Rinascimento e Machiavelli, ecc. Se
avessi la possibilità di consultare il materiale
necessario, credo che ci sarebbe da fare un libro veramente
interessante [...]. Intanto scrivo delle note, anche perché
la lettura del relativamente poco che ho mi fa ricordare le
vecchie letture del passato»19. Quest'ultima
osservazione è da sottolineare: è importante tener
conto del fatto che il materiale di cui Gramsci si serve nella
stesura dei Quaderni non è solo quello tratto dai libri,
riviste e giornali che riesce a leggere in carcere, ma anche
quello riscavato dalla sua memoria nelle letture, negli studi e
nelle esperienze di tutto il periodo precedente. Tutto ciò
che Gramsci è stato, attraverso i modi della sua formazione
e del suo sviluppo, rivive nei Quaderni, ed è, in questo
rivivere, giudicato, approfondito e sviluppato.
Non si potrebbe diversamente capire la ricchezza di contenuto che
si ritrova già nei primi sette quaderni scritti tra il 1929
e l'agosto del 1931. In tale periodo non sono mancati momenti che
hanno aggravato l'amarezza di Gramsci, e accresciuto il penoso
sentimento di solitudine da cui si sente profondamente investito.
Nel mese di giugno del 1930. riceve la visita del fratello
Gennaro, quella visita che determina «un corso a
zig-zag» dei suoi pensieri20. Gennaro viene dalla
Francia, ambasciatore ufficioso delle novità sulla vita del
partito: il problema della «svolta», i contrasti nel
gruppo dirigente, l'espulsione dei «tre», ecc. Gramsci
non è convinto, evidentemente, che tutto vada per il
meglio, e alcuni mesi dopo, nel novembre, inizia una serie di
conversazioni e di dibattiti politici con il gruppo di compagni di
partito che ha modo di vedere durante il «passeggio».
Le sue posizioni provocano però vivaci reazioni nella
maggioranza dei compagni, ed egli preferisce troncare la
discussione per evitare che essa degeneri, nel chiuso della vita
carceraria, in una meschina bega frazionistica21.
Ancora una volta Gramsci è costretto a rifugiarsi nel suo
isolamento; ma non pare che il lavoro dei Quaderni ne abbia in
qualche modo sofferto, anche se certo l'episodio ha contribuito ad
accrescere le tensioni psicologiche che attanagliano l'esistenza
del prigioniero di Turi.
Una nuova fase del lavoro dei Quaderni ha inizio invece dopo la crisi del 3 agosto 1931. Già negli ultimi mesi aveva cominciato ad avvertire i segni di un serio indebolimento che comprometteva il ritmo del suo lavoro22 e proprio il 3 agosto, a poche ore dalla crisi, ne aveva tratto sconsolate conclusioni sulle possibilità di condurre in porto le ricerche iniziate: «Si può dire che ormai non ho più un vero programma di studi e di lavoro e naturalmente ciò doveva avvenire. Io mi ero proposto di riflettere su una certa serie di quistioni, ma doveva avvenire che a un certo punto queste riflessioni avrebbero dovuto passare alla fase di una documentazione e quindi ad una fase di lavoro e di elaborazione che domanda grandi biblioteche. Ciò non vuol dire che perda completamente il tempo, ma, ecco, non ho più delle grandi curiosità in determinate direzioni generali, almeno per ora»23. Ma la crisi seguita poco dopo, nella notte del 3 agosto, diventa una nuova sferzata che riaccelera il ritmo di lavoro seguito fino a quel momento. La sua salute avrebbe ora bisogno di riposo assoluto e di cure adeguate, cose impossibili nelle sue condizioni; ma non c'è più nemmeno da pensare a un qualche tipo di lavoro che serva ancora come mezzo terapeutico. Abbandona infatti gli esercizi di traduzione e si concentra invece nello sforzo di approfondire la ricerca e di ristrutturarla in una nuova serie di quaderni.
Il piano di lavoro è riformulato sotto il titolo generale
Note sparse e appunti per una storia degli intellettuali italiani,
ed è accompagnato da un elenco di «Raggruppamenti di
materia», che servirà poi a Gramsci per raccogliere e
rielaborare in «quaderni speciali», dedicati ciascuno
a un solo tema, note sparse in diversi quaderni scritti
precedentemente in forma miscellanea24. Rimarrà
questo in sostanza il piano definitivo dei Quaderni, anche se
modificato nel corso ulteriore del lavoro con alcuni arricchimenti
e varianti.
In questa seconda fase, che va dalla fine del 1931 alla fine del
1933, il lavoro compiuto risulta particolarmente intenso e
impegnativo, tanto più se si pensa che sono i due anni
peggiori per le condizioni di salute di Gramsci, quelli in cui le
risorse naturali del suo organismo vengono compromesse
irrimediabilmente. In questo periodo, ai primi sette quaderni
già iniziati (oltre ai tre quaderni di sole traduzioni) se
ne aggiungono altri dieci25 che conservano un posto
centrale nella struttura di tutti i Quaderni, anche se alcuni di
essi saranno completati solo nel periodo successivo. Quaderni di
note miscellanee e «quaderni speciali» si alternano
nel lavoro di questa fase: Gramsci continua ad esplorare il
terreno della sua ricerca, mentre si sforza al tempo stesso di
riordinare il materiale già raccolto riscrivendo in seconda
stesura note già abbozzate nei quaderni precedenti. In
nessun momento però ritiene di aver raggiunto la forma
definitiva dei «saggi» progettati: questi non saranno
mai scritti, e rispetto ad essi tutte le note dei Quaderni, nelle
diverse stesure, rappresentano solo una raccolta di materiali
preparatori. Sul carattere provvisorio (di «prima
approssimazione») delle sue annotazioni Gramsci aveva
già richiamato l'attenzione in uno dei primi quaderni26,
ed ora, nella nuova fase del suo lavoro, sente il bisogno di
ripetere più volte la stessa avvertenza. Nella premessa al
nuovo piano di lavoro chiarisce come il carattere provvisorio
delle sue note non sia da riferire solo all'aspetto formale (alla
«distinzione tra la parte principale e quella secondaria
dell'esposizione, tra ciò che sarebbe il "testo" e
ciò che dovrebbero essere le "note"»), ma investa
anche le stesse determinazioni del contenuto: «si tratta
spesso di affermazioni non controllate, che potrebbero dirsi di
"prima approssimazione": qualcuna di esse nelle ulteriori ricerche
potrebbe essere abbandonata e magari l'affermazione opposta
potrebbe dimostrarsi quella esatta»27.
In questo rifiuto di legarsi le mani con conclusioni o
formulazioni di carattere definitivo pesa non solo lo scrupolo
dello studioso che sa di non poter disporre degli strumenti
necessari di controllo filologico, ma con ogni probabilità
anche l'esigenza politica di controllare sugli sviluppi reali del
movimento, in atto nel mondo «esterno» da cui era
stato escluso, la validità della trama ideale che egli va
intessendo in queste sue solitarie riflessioni carcerarie. Gramsci
ha sentito tutto il peso del suo isolamento, tanto più
crescente con il peggioramento delle sue condizioni di salute che
rendono sempre meno sicura la prospettiva di poter riannodare i
«fili strappati» del suo legame col mondo28.
L'amico Sraffa, a cui Tania in questo periodo trasmette le lettere
di Gramsci, cerca di farsi interlocutore indiretto nelle
riflessioni dei Quaderni suggerendo a Tania argomenti da proporre
al recluso isolato, nuovi stimoli ai suoi bisogni intellettuali
minacciati dal logorio della vita carceraria. Si avvicinano
però i momenti più acuti di una lotta per la
sopravvivenza di un organismo che reagisce con sussulti disperati
ai colpi di maglio che lo demoliscono. Sono i momenti più
pericolosi e Gramsci ne è ben consapevole. «Sono
giunto a un punto tale che le mie forze di resistenza stanno per
crollare completamente, non so con quali conseguenze»,
scrive a Tania il 29 agosto 193229; seguono settimane
di «vera frenesia nevrastenica»30, fino ad
arrivare alla nuova più grave crisi del marzo 1933:
deliqui, stati di allucinazione e di ossessione. A questi mali
fisici si accompagnano vere e proprie tempeste psicologiche, e
Gramsci si chiede freddamente se il prolungarsi di queste
condizioni non rischi di sottrarlo a qualsiasi possibilità
di autocontrollo razionale: si pensi all'insistenza con cui si
sofferma sull'apologo dei naufraghi (che diventano antropofaghi,
senza aver mai prima sospettato una tale eventualità) in
una lettera a Tania e poi in un lucido passo dei Quaderni31.
È forse questo uno dei pochi punti in cui le sofferenze
lancinanti di questo periodo si riflettono direttamente nei
Quaderni. Ma in tal modo esse riescono in qualche misura anche a
spersonalizzarsi, a diventare esperienze esemplari, dotate di
quella «pedagogica universalità e chiarezza»
che acquistano i «fatti particolari» nelle riflessioni
raccolte sotto il titolo di rubrica Passato e presente. Sono
però tutti i «quaderni» di questo periodo a
rappresentare una sfida continua contro l'immediatezza delle
vicende personali del prigioniero, la vittoria del controllo della
ragione sugli impulsi centrifughi degli istinti primordiali, la
riduzione del ribollire caotico di vitali forze spontanee
nell'alveo della sobrietà e dell'ordine intellettuali.
È evidente tuttavia che questo tipo di tensione non poteva
durare troppo a lungo, e al medesimo livello, nelle condizioni
drammatiche in cui, come s'è visto, Gramsci ha dovuto
lavorare. Con il trasferimento dal carcere di Turi, alla fine del
1933, alla clinica di Formia (ancora in stato di detenzione fino
all'ottobre del 1934) ha inizio una nuova fase anche nella stesura
dei Quaderni.
Questa terza ed ultima fase interessa altri dodici quaderni, la
maggior parte dei quali però lasciati incompleti e alcuni
di sole poche pagine. È vero che nello stesso periodo
(1934-35) Gramsci utilizza anche, per aggiungere nuove note e
integrare con nuove osservazioni, alcuni dei quaderni iniziati nel
periodo precedente, ma complessivamente si deve dire che il ritmo
del lavoro appare piuttosto rallentato. Le condizioni di esistenza
formalmente meno sfavorevoli non si sono tradotte in un sensibile
miglioramento del suo stato di salute. L'organismo, profondamente
intaccato, non rivela più possibilità di ripresa, e
del resto non sembra nemmeno che nella clinica di Formia gli siano
apprestate cure adeguate alla gravità dei suoi mali. Con
forze permanentemente indebolite la ripresa dello studio e della
stesura dei Quaderni è ancora una continuazione del lavoro
precedente, ma non riesce ad andare oltre certi limiti. Tutti i
quaderni di Formia sono «quaderni speciali», divisi
salvo poche eccezioni secondo i «raggruppamenti di
materia» stabiliti alla fine del 1931. Il lavoro prevalente
consiste quindi nel riprendere le note sparse nei diversi quaderni
miscellanei per raggrupparle secondo l'argomento nei nuovi
«quaderni speciali». Nella nuova stesura le note sono
a volte rielaborate, con qualche aggiornamento sulla base di nuove
letture e di nuovi dati acquisiti, ma più spesso sono
soltanto riprese alla lettera, come in una semplice copiatura
meccanica. I momenti più creativi sono forse consegnati in
alcune note aggiunte nei quaderni del periodo precedente.
Nulla muta sostanzialmente in questa situazione quando,
nell'ottobre del 1934, Gramsci ottiene la libertà
condizionale, sulla base delle disposizioni generali stabilite in
materia; né quando più tardi, nell'agosto del 1935,
viene ricoverato nella clinica «Quisisana» di Roma.
Nelle sue condizioni fisiche, e sotto un regime di strettissima
sorveglianza poliziesca, la vita del «libero vigilato»
non è praticamente diversa da quella del recluso. La mente
rimane lucida, ma le sue energie lo abbandonano a poco a poco.
L'organismo, estenuato, si spegne lentamente. Il lavoro dei
Quaderni è finito, e non potrà più essere
completato.
Subito dopo la morte di Gramsci (27 aprile 1937) Tania Schucht
provvede a mettere in salvo i manoscritti dei Quaderni. Molto si
deve all'abnegazione e allo spirito di sacrificio di questa donna:
grazie alla sua attività silenziosa e discreta sono stati
anche sventati i primi e più gravi pericoli di una
dispersione dell'opera gramsciana. Se questi manoscritti non si
fossero salvati, di Gramsci sarebbe rimasto soprattutto il ricordo
di una leggenda. Al di là dell'Italia ufficiale, la
commozione per la sua scomparsa è profonda, tra i suoi
compagni di partito e negli ambienti antifascisti, ma era anche
forse abbastanza diffusa l'impressione che la sua
personalità non avesse avuto modo di esprimersi in tutta la
sua pienezza32. È un'impressione che
potrà essere superata solo dopo che sarà conosciuta
l'opera dei Quaderni.
Naturalmente, a una pubblicazione immediata di questo materiale in Italia non c'era nemmeno da pensare in quel periodo. Inoltre i manoscritti erano tutt'altro che approntati per la stampa, e si ponevano a questo proposito, problemi di non facile soluzione. Secondo la testimonianza di Tania33, Gramsci le aveva affidato a suo tempo l'incarico di trasmettere tutto alla moglie Giulia, riservandosi di dare in seguito altre disposizioni. Queste ultime in realtà non erano più venute, e Tania quindi aveva pensato di chiedere a Sraffa se volesse assumersi l'incarico di «mettere in ordine» i manoscritti, per avere la certezza che questo lavoro fosse compiuto «da una persona competente», in attesa di poter mandare tutto a Mosca. Sraffa tuttavia, sapendo quanto questi manoscritti stessero a cuore a Togliatti e agli altri dirigenti del partito34, ritiene che non sia opportuna una qualsiasi sua interferenza, e consiglia a Tania di non trattenere il prezioso materiale presso di sé oltre il necessario ma di mandarlo a Mosca appena potrà approfittare di un sicuro mezzo di trasporto.
Questo consiglio è seguito da Tania, che provvede intanto
ad applicare all'esterno dei quaderni delle etichette con una
numerazione di controllo, che non tiene conto del periodo di
stesura di ogni quaderno. Tale numerazione progressiva riguarda 31
quaderni, mentre rimangono esclusi altri due quaderni che hanno
già segnato un numero in copertina: il n. 111 per un
quaderno intitolato La filosofia di benedetto Croce, e il n. IVbis
per un quaderno intitolato Niccolò Machiavelli II. Sono
quindi in tutto 33 i quaderni gramsciani che Tania consegna per
l'inoltro a Mosca, il 6 luglio 193735. La spedizione
sarà però rinviata, e ancora per un anno i
manoscritti rimarranno a Roma, custoditi in luogo sicuro.
Arriveranno a Mosca, insieme ai libri e agli effetti personali di
Gramsci, solo nel luglio del 1938. Li prende in consegna Vincenzo
Bianco, in qualità di rappresentante italiano al Komintern.
Togliatti è in Spagna, ma riceve presto le prime fotocopie
dei quaderni e comincia a studiare, insieme ad altri compagni, i
primi progetti di pubblicazione36.
In effetti il precipitare degli avvenimenti politici e infine la
guerra mondiale non possono che intralciare e ritardare qualsiasi
progetto del genere. Gramsci sarebbe stato certo l'ultimo, se
fosse stato ancora in vita, a dolersi di un tale ritardo : non per
nulla aveva voluto dedicare il suo lavoro carcerario ad una
ricerca «fiir ewig», che potesse sopravvivere al di
là della battaglia politica immediata. Come combattente
politico aveva fatto, anche in carcere, tutto quello che aveva
potuto. Non aveva scelto volontariamente la via del martirio, ed
anzi aveva lottato disperatamente per la sua sopravvivenza fisica,
ma aveva sempre rifiutato di barattare la propria salvezza con
quella domanda di grazia che gli era stata più volte
sollecitata e che egli considerava un «suicidio
politico». In questo tipo di decisioni Gramsci era
tutt'altro che un isolato: continuava ad essere parte integrante
di un movimento di lotta chiamato ad impegnarsi su tutti i fronti
in accaniti combattimenti quotidiani. Solo una serie di successi
in questi combattimenti avrebbe potuto garantire la prospettiva di
quei tempi lunghi per cui Gramsci aveva lavorato nei Quaderni.
La lotta contro il fascismo è ancora in corso, e l'Italia non è stata ancora del tutto liberata, quando appaiono i primi annunci della prossima pubblicazione degli inediti gramsciani37. Alcuni di tali annunci erano in realtà prematuri, troppo in anticipo sulla possibilità materiale di preparazione dei testi38. Solo dopo la fine della guerra, quando è possibile infine far tornare in Italia gli originali dei quaderni e delle lettere, il lavoro di preparazione editoriale può essere avviato concretamente39. Nel 1947 vede la luce la prima edizione delle Lettere dal carcere e l'anno successivo ha inizio la pubblicazione dei volumi dei Quaderni. Nel corso di quattro anni, tra il 1948 e il 1951, escono sei volumi, diventati notissimi attraverso innumerevoli ristampe con i titoli redazionali scelti dai curatori: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura; Il Risorgimento; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Letteratura e vita nazionale; Passato e presente. Con un ritmo più lento, per la difficoltà di individuare tutti gli scritti non firmati, vedranno poi la luce i volumi che raccolgono gli articoli e gli altri testi gramsciani scritti prima dell'arresto40.
La circolazione delle idee di Gramsci, grazie alla risonanza
avuta da queste pubblicazioni, non solo in Italia, difficilmente
avrebbe potuto essere maggiore. Del resto il fatto che Gramsci sia
diventato, negli ultimi decenni, una delle figure più
rilevanti della cultura marxista internazionale, ormai rientra
perfino nel novero delle nozioni comuni. Non sarebbe quindi
ragionevole sottovalutare in alcun modo l'importanza e i meriti
della prima edizione dei Quaderni del carcere. La scelta allora
compiuta, di raggruppare le note gramsciane per argomenti e per
temi omogenei, e di ordinare tali raggruppamenti in una serie di
volumi indipendenti, era in ogni caso il mezzo più idoneo
per assicurare la più larga circolazione al contenuto dei
Quaderni. D'altra parte lo stato di frammentarietà in cui
il materiale era disposto nei manoscritti originali, e i
successivi tentativi dello stesso Gramsci di riordinare le sue
note secondo un criterio tematico, sembravano autorizzare la
soluzione editoriale prescelta. Tuttavia i limiti e gli
inconvenienti di questo ordinamento non potevano non venire alla
luce quando sì è incominciato ad approfondire lo
studio dell'opera gramsciana. Non si può certo dire che
l'ordine sistematico seguito risulti estraneo alla tematica
affrontata nei Quaderni, era in fondo una scelta possibile che lo
stesso Gramsci avrebbe potuto fare se si fosse deciso a dare una
forma definitiva al suo lavoro. Ma questa scelta Gramsci non l'ha
fatta, e di ciò non si può non tener conto nella
lettura e nell'interpretazione di queste pagine.
Anche se non ha lasciato precise disposizioni sul modo di
utilizzare la sua eredità letteraria, Gramsci ha fornito
però precise indicazioni sul modo con cui vanno lette le
opere postume: «È evidente che il contenuto di queste
opere postume deve essere assunto con molta discrezione e cautela,
perché non può essere ritenuto definitivo, ma solo
materiale ancora in elaborazione, ancora provvisorio; non
può escludersi che queste opere, specialmente se da lungo
tempo in elaborazione e che l'autore non si decideva mai a
compiere, in tutto o in parte fossero ripudiate dall'autore e non
ritenute soddisfacenti»; «un'opera non può mai
essere identificata col materiale bruto, raccolto per la sua
compilazione: la scelta definitiva, la disposizione degli elementi
componenti, il peso maggiore o minore dato a questo o a quello
degli elementi raccolti nel periodo preparatorio, sono appunto
ciò che costituisce l'opera effettiva»41.
Si è già visto d'altra parte come Gramsci tenesse a
sottolineare il carattere provvisorio del proprio lavoro, anche
nelle nuove stesure delle sue note. Tutto ciò comporta, se
si guarda bene, al di là del richiamo alla
«discrezione» e alla «cautela», l'invito a
una lettura maggiormente responsabilizzata, non limitata a una
semplice ricezione passiva. Il che non vuol dire affatto una
lettura aperta a qualsiasi possibilità d'interpretazione.
Gramsci scriveva in un'epoca di profonde trasformazioni, per
lettori che avrebbero dovuto affrontare nuove esperienze e
sarebbero stati in possesso di nuovi elementi di giudizio che
egli, nell'isolamento del carcere, poteva solo confusamente
intravedere. A questi lettori offriva una riflessione approfondita
della propria esperienza politica e culturale e la costruzione
teorica di una complessa metodologia critica per aggredire
attivamente i processi in atto nel mondo contemporaneo. È
lecito supporre che pensasse a lettori capaci di completarlo, e in
qualche punto anche di correggerlo: come marxista antidogmatico
non avrebbe potuto desiderare lettori diversi. Ma tanto più
era importante che ciò che era stato scritto come
«materiale ancora in elaborazione» venisse letto come
tale, che il «provvisorio» non apparisse come
«definitivo».
A questa esigenza intende rispondere la presente edizione dei
Quaderni del carcere. Ma anche se tale orientamento dovesse
incontrare delle riserve, rimane a giustificare i criteri scelti
la necessità di offrire uno strumento di lettura che
permetta di seguire il ritmo di sviluppo con cui la ricerca
gramsciana si snoda nelle pagine dei Quaderni. Questa edizione
cioè presume di non essere gravata da ipoteche
interpretative, pur essendo nata nel quadro di una linea di
interpretazione del pensiero di Gramsci. A confermare tale
aspirazione possono servire anche i chiarimenti tecnici che
seguono.
1. Si è cercato in primo luogo di riprodurre il testo dei
Quaderni, così come sono stati scritti da Gramsci, in modo
che niente di esterno si interponga tra questo testo e il lettore.
A questo scopo l'apparato critico, comprese le note redazionali
esplicative, è separato dal testo di Gramsci e lo segue in
fondo all'opera. Il lettore potrà ricorrervi tutte le volte
che ne senta il bisogno, senza essere tuttavia distratto da
continui richiami nella sua lettura indipendente. A piè di
pagina sono aggiunte solo le poche e brevissime note che segnalano
varianti del testo o rettifiche apportate.
2. I «quaderni» sono stati ordinati secondo l'ordine
cronologico di stesura ricostruito sulla base di riscontri
oggettivi, indicati nella «Descrizione dei Quaderni»
(che è una sezione dell'apparato critico). Su questa base i
quaderni sono stati numerati in ordine progressivo, conservando
tuttavia, tra parentesi, le vecchie numerazioni apportate da
Tania, come s'è visto, in semplice funzione di controllo
. I quaderni così numerati sono ventinove: da 1 (XVI) a 29
(XXI). Con un diverso tipo di numerazione sono contraddistinti gli
altri quattro quaderni che contengono solo esercizi di traduzioni:
a (XIX), b (XV), c(XXVI), d (XXXI). Anche in questo caso il numero
romano tra parentesi si riferisce alla vecchia numerazione di
Tania Schucht. La ricostruzione dell'ordine cronologico dei
quaderni è stata possibile quasi sempre, come si
vedrà, senza apprezzabili margini d'incertezza, ma è
da avvertire che tale ordine riguarda solo l'inizio della stesura
dei diversi quaderni, ai quali però Gramsci, a quanto
risulta, lavorava spesso contemporaneamente, completandoli in
alcuni casi a grande distanza di tempo. All'interno di ogni
quaderno si è seguito in linea di massima l'ordine
materiale delle pagine, salvo quando risultava chiaramente che
Gramsci si era attenuto a un ordine diverso. In ogni caso il
numero delle pagine originali di ogni quaderno è segnato a
margine nel testo della presente edizione.
3. Nella seconda fase di stesura dei Quaderni (19311933) e ancor
più nella terza fase (1934-35), Gramsci procedendo
ulteriormente nel lavoro ha cancellato (con larghi tratti di
penna, che non ostacolano la lettura) molte delle note scritte in
prima stesura per poi riprenderle quasi sempre, più o meno
rielaborate, in altre note, di seconda stesura, soprattutto nei
«quaderni speciali», in cui i testi sono raggruppati
per argomento. La nostra edizione, che riproduce integralmente il
testo gramsciano, ha lasciato le note di prima stesura nello
stesso posto in cui sono collocate nei quaderni originali; ma
anche per renderle immediatamente riconoscibili le ha
contraddistinte con un carattere tipografico minore. Alla fine di
ognuna di queste note segue il rinvio alle pagine originali del
Quaderno in cui si può ritrovareJa stessa nota in seconda
stesura. Allo stesso modo alla fine delle note di seconda stesura
si troverà l'indicazione dei testi corrispondenti di prima
stesura. Le note prive di questa indicazione di rinvio sono testi
lasciati da Gramsci in stesura unica.
Nelle «Note» dell'apparato critico le indicazioni
relative alle caratteristiche di ogni paragrafo del testo e ai
loro collegamenti sono contenute in forma più dettagliata.
Per maggior chiarezza, e per evitare eccessive ripetizioni, sono
indicati come testi A quelli di prima stesura: come testi B quelli
di stesura unica; come testi C quelli di seconda stesura.
Nel passaggio dai testi A ai testi C, Gramsci non segue un criterio uniforme. In alcuni casi diversi testi A sono ripresi in un unico testo C, in altri casi invece un unico testo A è suddiviso in diversi testi C; altre volte ancora vi è perfetta corrispondenza tra le note di prima stesura e quelle di seconda stesura. Anche il grado di rielaborazione dei testi è molto variabile: si va da casi in cui il testo di prima stesura è a stento riconoscibile nella seconda stesura, arricchita da notevolissime integrazioni, ad altri casi in cui invece il testo A è semplicemente ripetuto alla lettera nel corrispondente testo C.
4. ln tutti i quaderni le note di Gramsci hanno all'inizio, quasi sempre, un segno di paragrafo (§), seguito in molti casi da un titolo. Nel testo dell'edizione abbiamo conservato naturalmente queste indicazioni, integrando tuttavia il segno di paragrafo con un numero progressivo per ogni quaderno, in modo da soddisfare le esigenze di consultazione. Questi numeri aggiunti, come qualsiasi altra integrazione redazionale al testo di Gramsci, sono contrassegnate da parentesi angolari ( ) (che sono omesse invece, per ovvie ragioni, nell'apparato critico; che ha per intero carattere redazionale). La stessa avvertenza vale anche per i titoli dei Quaderni: sono redazionali quelli tra parentesi angolari, mentre, dove queste mancano, i -titoli sono di Gramsci. Nel testo le parentesi quadre [ ] sono state usate per indicare parole o frasi aggiunte da Gramsci in un secondo tempo, in interlinea o a margine del quaderno.
5. Nella nostra edizione sono riportati integralmente 29 quaderni, diciassette dei quali appartengono al periodo di Turi, e dodici al periodo di Formia. Gli altri quattro quaderni conservati, tutti del periodo di Turi, contengono, come s'è detto, esclusivamente esercizi di traduzione. Altri esercizi di traduzione occupano anche una parte di altri due quaderni: il 2 (xxiv) e il 7 (vii). Non si è ritenuta necessaria la riproduzione integrale di questi lavori, che avrebbe solo appesantito inutilmente un'edizione già così carica, giacché essi si collocano chiaramente al di fuori del piano di lavoro propostosi da Gramsci nella stesura dei Quaderni. Come già si è ricordato sulla base della testimonianza delle Lettere dal carcerey questi lavori di traduzione erano concepiti da Gramsci come un esercizio distensivo e un allenamento mentale utili per un certo periodo. Essi inoltre documentano il particolare interesse di Gramsci per alcuni argomenti e per l'approfondimento di due lingue da lui ritenute di speciale importanza (il tedesco e il russo); ma non presentano nessuna caratteristica che vada al di là dell'immediatezza pragmatica a cui intendevano rispondere. Tale lavoro è infatti interrotto quando le sue condizioni di salute cominciano ad aggravarsi, mentre sente il bisogno di intensificare il lavoro teorico e la stesura dei Quaderni. Si è quindi ritenuto sufficiente da un lato offrire ai lettori una minuziosa documentazione analitica di questi lavori di traduzione, nella «Descrizione dei Quaderni» compresa nell'apparato critico, e dall'altro riportare in Appendice al testo alcuni esempi delle traduzioni gramsciane dei testi di Marx, più direttamente legati alla tematica dei Quaderni.
6. In alcuni dei Quaderni vi sono pagine utilizzate da Gramsci per minute o appunti personali legati alle esigenze della vita carceraria e solo indirettamente, in alcuni casi, al lavoro dei Quaderni. Mentre non è parso opportuno inserire questo materiale eterogeneo (elenchi di libri, minute di lettere o di istanze, conti e calcoli vari, ecc.) nel testo vero e proprio, si è ritenuto utile riprodurlo integralmente, o quasi, per il suo valore documentario, nella citata «Descrizione dei Quaderni».
7. Nessun intervento, invece, è sembrato lecito che potesse menomare in qualche modo il carattere integrale della riproduzione delle note dei Quaderni: né per evitare ripetizioni o per eliminare annotazioni che potessero apparire superflue o prive d'interesse, né per attenuare giudizi polemici. Il carattere chiaramente provvisorio di queste pagine, così come le ripetute avvertenze di Gramsci sulla necessità in cui egli stesso avrebbe potuto trovarsi di correggere, o addirittura capovolgere, dopo eventuali controlli, affermazioni contenute nelle sue note, dovrebbero bastare a sollevare da ogni preoccupazione estranea al carattere «disinteressato» dell'opera gramsciana. Alcuni giudizi dei Quaderni sono particolarmente duri; come eccessivamente aspri, e non sempre equanimi, erano stati i giudizi del Gramsci impegnato, prima dell'arresto, nello scontro quotidiano e nella polemica politica immediata. Ma selezionare tali giudizi che vanno affidati serenamente al discernimento dei lettori sarebbe stato inammissibile in un’edizione critica.
8. Si sono rispettate tutte le particolarità stilistiche e lessicali del testo gramsciano. Nel caso di difformità nell'uso di forme lessicali di una stessa parola (ad esempio quistione e questione) si è preferito non uniformare. Quando si è corretto nel testo qualche lapsus evidente, trattandosi di casi piuttosto rari, si è ritenuto opportuno segnalare la cosa a piè di pagina. Ma in generale si è evitato di trasformare il criterio della trascrizione fedele in inutile pedanteria. Così si sono completate, senza avvertire, le parole abbreviate, quando l'abbreviazione è sembrata del tutto casuale e priva di significato; quando invece l'abbreviazione appariva intenzionale, per non allarmare la censura carceraria, la circostanza è stata segnalata in nota. Le precauzioni usate da Gramsci per difendere il lavoro dei Quaderni dalla sorveglianza delle autorità carcerarie variano nei diversi periodi della sua detenzione. Per questo motivo la presenza dei testi di prima stesura, in cui Gramsci dimostra di avere minori preoccupazioni al riguardo, rende il suo discorso più immediatamente intelligibile e facilita spesso la comprensione dei successivi testi di seconda stesura, dove abbondano invece le circonlocuzioni impiegate per occultare ai censori i riferimenti a temi politici e ideologici sospetti.
9. L'ampiezza dell'apparato critico vuole rispondere all’esigenza di fornire al lettore tutti gli strumenti utili a una più esatta comprensione del testo e all'approfondimento, dello studio dell'opera gramsciana. Anche nelle «Note al testo» si è cercato di evitare ogni prevaricazione di carattere interpretativo che pretendesse condizionare le scelte che spettano alla responsabilità e al senso critico del lettore. Le «Note» quindi non privilegiano il commento, ma contengono soprattutto indicazioni sulle fonti utilizzate da Gramsci, anche quando non sono dichiarate dal testo, chiarimenti sulle opere, sugli avvenimenti e i personaggi menzionati e sulle allusioni che non s'intendono da sé ma possono essere decifrabili in modo attendibile, e infine riferimenti ai rapporti con le Lettere dal carcere, ai nessi interni dei Quaderni e ai precedenti scritti di Gramsci che sono ad essi collegati a seconda dei temi di volta in volta trattati. Tutte le fonti sono state controllate (tranne pochissimi casi in cui non è stato possibile reperirle o individuarle), e ciò ha permesso in molte occasioni di chiarire il significato di riferimenti o di allusioni di Gramsci che diversamente sarebbero rimasti oscuri o generici.
I chiarimenti tecnici forniti non dovrebbero distogliere l'attenzione del lettore dalle motivazioni che li hanno resi necessari, anche se possono sembrare a prima vista un po' troppo minuziosi. Non sarebbe stato giusto tuttavia semplificare sostituendo alle «minuzie» della filologia le grandi linee di un perfetto impianto interpretativo. Anche in questo caso «semplificare» avrebbe significato, come avverte lo stesso Gramsci, «snaturare e falsificare»1. Né sarebbe stato utile insistere su ciò che già è noto, sui temi (egemonia, funzione degli intellettuali, «blocco storico», ecc.) che hanno reso celebre il pensiero di Gramsci come quello di uno dei pensatori più significativi del mondo contemporaneo. L'insistenza di Hegel nel sottolineare la contrapposizione tra ciò che è «noto» e ciò che è « conosciuto» merita forse di essere estesa anche al di là dell'ambito specifico della logica hegeliana. La tendenza ad imbalsamare il pensiero dei classici nella sua notorietà (e ciò è possibile anche ricamando su di essa infinite variazioni) continua ad operare come il mezzo più usuale per svuotare quel pensiero della sua vitalità.
Gramsci è già un classico, e per la sua opera era
indispensabile accingersi a quel compito che egli stesso giudicava
necessario per un altro classico: «occorre — scriveva
pensando a Marx fare preliminarmente un lavoro filologico
minuzioso e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di
onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di
assenza di ogni preconcetto ed apriorismo o partito preso» A
questa esigenza abbiamo cercato di attenerci nella preparazione
della nuova edizione critica dei Quaderni del carcere, senza
sentire alcun imbarazzo a dedicare tanto tempo a un semplice
lavoro «preliminare». Il risultato rende però
ora possibile una nuova lettura di Gramsci; ed è lecito
sperare che essa consentirà una conoscenza migliore della
sua opera, forse in parte anche diversa, certo più esatta e
approfondita.
VALENTINO GERRATANA
L'iniziativa della presente edizione è dell'Istituto
Gramsci, che custodisce i manoscritti e la maggior parte dei libri
che furono di Antonio Gramsci. Tutto il lavoro di preparazione si
è svolto nella sede romana dell'Istituto, che, in
collaborazione con l'editore Einaudi, ha approntato i mezzi
materiali e organizzativi della ricerca. Nella prima fase di
preparazione del lavoro, nel 1968-69 e nel 1969-70, abbiamo anche
potuto usufruire di un contributo finanziario del Consiglio
nazionale delle ricerche. Una speciale gratitudine dobbiamo a
Eugenio Garin per i consigli e i suggerimenti con cui ha sorretto
fin dall'inizio la nostra fatica.
Il lavoro del curatore è stato validamente coadiuvato da
un gruppo di collaboratori specializzati che, individualmente o in
équipe, hanno contribuito a realizzare il complesso
programma di ricerche e di controlli bibliografici ed archivistici
richiesti nelle varie fasi di preparazione dell'edizione. Nel
primo anno d'impostazione del lavoro Bruno Anatra ha collaborato
all'impianto degli schedari. Giacomina Nenci, Alberto
Postígliola, Luciana Trentin, Dino Ferreri hanno
collaborato alla collazione dei manoscritti originali, alla
ricerca delle fonti e alla raccolta del materiale utilizzabile per
la redazione delle note al testo. Il contributo di tutti ci
è stato prezioso; ma non possono essere taciuti i
particolari meriti di Ferreri, che per circa sei anni si è
impegnato nel modo più attivo, e con risultati spesso
particolarmente felici, in tutte le fasi principali della ricerca,
oltre che nella fase finale di realizzazione editoriale. Nella
elaborazione dell'apparato critico Ferreri ha collaborato alla
stesura della «Descrizione dei Quaderni» e di una
parte delle «Note al testo», e si è assunto
inoltre l'incarico di redigere 1'«Indice delle opere e dei
periodici citati». Alla preparazione dell'«Indice per
argomenti» e della «Tavola delle concordanze»
hanno collaborato rispettivamente Anna Maria Calvelli e Luciana
Trentin. La preparazione dell'«Indice dei nomi»
è stata curata da Carmine Donzelli, della casa editrice
Einaudi.
Desideriamo inoltre esprimere un vivo ringraziamento al dottor
Costanzo Casucci, dell'Archivio centrale dello Stato, che ha
facilitato la consultazione dei fascicoli relativi a Gramsci
conservati nell'acs; e a tutti coloro che ci hanno fornito utili
informazioni o chiarimenti su specifiche questioni: Luigi
Arbizzani, Nicola Auciello, Nicola Badaloni, Christine
Buci-Glucksmann, Sergio Caprioglio, Gabriele De Rosa, Elsa Fubini,
Pietro Grifone, Alfonso Leonetti, Attilio Marinari, Piero
Melograni, Mazzino Montinari, Franco Moretti, Gaetano Perillo,
Claudio Pozzoli, Ernesto Ragionieri, Aldo Ricci, Giulio Rughi,
Arnaldo Satta, Paolo Spriano, Sebastiano Timpanaro, Paola
Zambelli.
Di grande aiuto ci è stata la redazione della casa
editrice Einaudi, in particolare con l'opera di Oreste Molina e
Elena De Angeli, non solo per la normale assistenza tecnica, ma
anche per la soluzione dei complessi problemi posti dalla
sistemazione e dall'ordinamento delle diverse sezioni
dell'apparato critico. Il direttore dell'Istituto Gramsci, Franco
Ferri, e tutto il personale dell'Istituto hanno favorito la
preparazione dell'edizione seguendone le varie fasi con partecipe
e continuo interessamento.
v. g.
1 Cfr Valentino Gerratana, Sulla preparazione di
un'edizione critica dei «Quaderni del carcere», in
Gramsci e la cultura contemporanea, Atti del Convegno
internazionale di studi gramsciani tenuto a Cagliari il 23-27
aprile 1967, a cura di Pietro Rossi, vol. II, Editori Riuniti
Istituto Gramsci, Roma 1970, pp. 455-76.
2 Cfr «La Rivoluzione liberale», 22 aprile
1924 (anno in, n. 17); Antonio Gramsci (nella rubrica 'Uomini e
idee'); l'articolo è ora raccolto in Piero Gobetti,
Scrìtti politici, a cura di Paolo Spriano, Einaudi, Torino
i960,
3 L'articolo è ora raccolto in Palmiro
Togliatti, Gramsci, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 3-6.
4 Cfr Ercole Piacentini, Con Gramsci a Turi,
testimonianza raccolta da Paolo Giannotto, in
«Rinascita», 25 ottobre 1974, p. 32: «Da due
anni mi trovavo a Turi; una mattina la porta del cortile del
"passeggio" si apri ed entrò un uomo piccolo di statura, un
po' deforme Curiosi di sapere cosa avveniva^ fuori, ci
avvicinammo. "Siete politici?" domandò"Mi chiamo Gramsci".
Chiese ancora a quale movimento si appartenesse. Io e Ceresa
dicemmo d'esser comunisti, gli altri erano tutti anarchici. Per la
verità nessuno sapeva chi fosse Gramsci, era uno
qualunque».
5 Cfr Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di
Sergio Caprioglio e Elsa Fubini, Einaudi, Torino 1965, pp. 50-51.
6 Cfr, nella presente edizione, p. 1776.
7 Gramsci, Lettere dal carcere cit.f p. 126.
8 Ibid., p. 398 (lettera alla moglie del 13
gennaio 1931).
9 Cfr la lettera a Piero Sraffa dell'i 1 dicembre 1926
(ibid.t p. 15).
10 Cfr la lettera citata alla moglie del 13 gennaio
1931, in cui rievoca la sinistra impressione subita alla notizia
rivelatasi poi inesatta di una deportazione in Somalia: «Ora
rido di ciò, tuttavia è stata una svolta morale
nella mia vita, perché mi sono abituato all'idea di dover
tra breve morire» Ubid., p. 398)
11 Questa lettera purtroppo è andata perduta;
se ne ha però notizia attraverso la risposta di Bordiga
(del 13 aprile 1927), pubblicata ora in «Studi
storici», anno xvi, n. 1, gennaio-marzo 1975, pp. 152-54.
Smarrite sono andate anche quasi tutte le lettere spedite da
Gramsci, dal carcere di Milano, ad altri confinati di Ustica: se
ne sono salvate solo alcune, dirette a Giuseppe Berti (ora
comprese nella edizione citata delle Lettere dal carcere).
12 Gramsci, Lettere dal carcere cit., pp. 92-93.
13 Ibid., p. 93. Lo stesso Gramsci del resto
confesserà più tardi che gli era passata questa
«voglia di studiare le lingue»: cfr la lettera del 17
novembre 1930 (ibìdp. 375).
14 Ibid., pp.111 e 270.
15 Cfr nella lettera a Tania del 29 gennaio 1929:
«Ti devo fare alcune raccomandazioni: di non mandarmi e non
farmi mandare dalla Libreria, dei libri nuovi. Ora che
potrò scrivere, mi farò un piano di studio e io
stesso domanderò i libri che mi abbisognano»; e pochi
giorni dopo, nella lettera del 9 febbraio 1929: «Ti ripeto
ancora di avvertire che non mi mandino più dei nuovi libri.
Ora che posso scrivere in cella, prenderò delle note dei
libri che mi servono e ogni tanto le invierò alla Libreria.
Adesso che posso prendere degli appunti di quaderno, voglio
leggere secondo un piano e approfondire determinati argomenti e
non più "divorare" i libri. Penso che solo eccezionalmente,
per qualche bel libro di attualità, di cui io non posso
conoscere resistenza, si può fare a meno del mio
avviso» (ibidpp. 251 e 253).
16 Cfr nella stessa lettera citata del 9 febbraio
1929: «Sai? Scrivo già in cella. Per adesso-faccio
solo delle traduzioni, per rifarmi la mano: intanto metto ordine
nei miei pensieri» (ibid.y p. 253); e più tardi, in
una lettera alla moglie dell'i 1 marzo 1929: «mi sono
ingolfato in traduzioni dal tedesco e questo lavoro mi calma i
nervi e mi fa stare più tranquillo. Leggo meno, ma lavoro
di più» (ibid., p. 262).
17 Cfr nella presente edizione, p. 5.
18 Cfr la lettera a Tania del 17 agosto 1931:
«all'una del mattino del 3 agosto, proprio 15 giorni fa,
ebbi uno sbocco di sangue, all'improvviso. Non si trattò di
una vera e propria emorragia continuata, di un flusso
irresistibile come ho sentito descrivere da altri: sentivo un
gorgoglio nel respirare come quando si ha del catarro, seguiva un
colpo di tosse e la bocca si riempiva di sangue [...]. Ciò
durò fino alle quattro circa e in questo frattempo cacciai
fuori 250-300 grammi di sangue. In seguito non mi vennero
più boccate di sangue, ma ad intervalli del catarro con
grumi di sangue» (ibid., p. 464)Gramsci cerca comunque in
questa lettera di non allarmare troppo la cognata, e parla di
«indisposizione» assicurando che «non c'è
niente di preoccupante».
19 Cfr la lettera a Tania del 16 giugno 1930 (ibid.,
p. 350). L'episodio è ricostruito con alcuni dettagli,
ricavati dalla testimonianza di Gennaro Gramsci, da Giuseppe
Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari 1966, pp.
291-92.
20 I termini del dibattito sono riassunti nel noto
«rapporto» di Athos
Lisa, pubblicato a cura di Franco Ferri in
«Rinascita», 12 dicembre 1964,
pp. 17-21. Ma cfr anche Athos Lisa, Memorie. Dall'ergastolo di
Santo Stefano alla casa penale di Turi, prefazione di Umberto
Terracini, Feltrinelli, Milano 1973. /
21 Cfr la lettera a Tania del 27 luglio 1931:
«È vero che da qualche mese soffro molto di
smemoratezza. Non ho più avuto da un pezzo delle forti
emicranie come nel passato (emicranie che chiamerei "assolute"),
ma in contraccambio mi risento di più, relativamente, di
uno stato permanente che può essere indicato
riassuntivamente come uno svaporamento di cervello; stanchezza
diffusa, sbalordimento, incapacità di concentrare
l'attenzione, rilassatezza della memoria ecc.» (ibid., p.
454).
22 Ibid.t p. 459.
23 Cfr, nella presente edizione, pp, 935-36.
24 Non si tiene conto qui del quarto quaderno di sole
traduzioni, scritto nel 1932: in realtà un quadernetto di
poche pagine, solo una distrazione di qualche ora. Nella nostra
numerazione è il Quaderno d (XXXI).
25 Cfr, nella presente edizione, p. 438.
26 Cfr, nella presente edizione, p. 935. La stessa
avvertenza ritorna poi in un quaderno successivo dello stesso
periodo: si veda a p. 1365, dove quella che era un'osservazione
incidentale viene privilegiata come avvertenza generale per tutti
i Quaderni.
27 Cfr la lettera a Tania del 13 luglio 1931:
«mi pare che ogni giorno si spezzi un nuovo filo dei miei
legami col mondo del passato e che sia sempre più difficile
riannodare tanti fili strappati» (Lettere dal carcere cit.,
p. 450). Alcuni giorni dopo, nella lettera citata del 3 agosto,
ricordava, tornando sull'argomento, che anche in passato, prima
del carcere, si era venuto a trovare in situazioni di isolamento,
ma aggiungeva che allora si era trattato di scelte volontarie,
necessarie per la formazione della sua personalità, e che
ora invece la questione era tutta diversa: «mentre nel
passato, come ho detto, mi sentivo quasi orgoglioso di trovarmi
isolato, ora invece sento tutta la meschinità,
l'aridità, la grettezza di una vita che sia esclusivamente
volontà» (ibid., pp. 458-59).
28 Ibid., p. 665.
29 Ibid., p. 687. Ibid., pp. 757-58; per il
corrispondente passo nei Quaderni cfr, nella presente edizione,
pp. 1762-64.
30 Per la ripercussione immediata della scomparsa di
Gramsci cfr Paolo Spriano, Storia del partito comunista italiano,
voi. Ili, Einaudi, Torino 1970, pp. 145-58 (cap. vili: La morte di
Antonio Gramsci). Particolarmente significativo il paSso di una
lettera di Mario Montagnana a Togliatti, citata da Spriano:
«... senza dubbio pochi possono comprendere in pieno, cosi
profondamente, come noi, la gravità della perdita subita
dal partito e perciò da tutto il nostro popolo. E questo
perché Antonio rivelava la sua grandezza, le sue enormi
qualità politiche, intellettuali e morali, soprattutto nei
colloqui, nella vita comune di tutte le ore. Mi ha colpito
tuttavia sentire un giovane compagno che non ha neppure conosciuto
Antonio dirmi che la cosa più tragica, più dolorosa,
nella morte di Antonio, è il fatto che il suo genio
è stato in gran parte, come dire?, inutilizzato e
perciò sconosciuto» {ibid., p. 152).
31 Cfr la lettera di Tania a Sraffa del 12 maggio
1937, pubblicata in Appendice a Lettere dal carcere cit-, p. 915.
32 «La cura della eredità politica e
letteraria di Antonio è cosa troppi importante
perché possa essere lasciata al caso dei nostri
incontri»: cosi Togliatti scrive a Sraffa in una lettera del
20 maggio 1937, da Mosca (pubblicata in «Rinascita»
del 14 aprile 1967).
33 La notizia si ricava da una lettera di Tania a
Sraffa in data 7 luglio 1937: «Ieri ho consegnato i quaderni
(tutti quanti) ed anche il catalogo che avevo iniziato».
Questo «catalogo» è un quaderno in cui la
stessa Tania aveva progettato di redigere un indice-inventario di
tutte le note scritte da Gramsci sui suoi quaderni. Porta
un'etichetta con la dicitura «Catalogo I. Elenco degli
argomenti trattati nei quaderni»; l'indice è completo
per due quaderni, e incompleto per un terzo. Anche questo quaderno
è ora conservato insieme ai manoscritti originali di
Gramsci.
34 Cfr Spriano, Storia del partito comunista italiano,
voi. Ili cit., p. 156.
35 Una prima descrizione sommaria dei Quaderni,
«di cui presto dovrà iniziarsi la
pubblicazione», è in un articolo apparso
sull'«Unità» dì Napoli il 30 aprile 1944
{L'eredità letteraria di Gramsci). L'articolo non è
firmato, ma dev'essere stato scritto da Palmiro Togliatti, da poco
giunto in Italia. Qualche notizia sui Quaderni e sulle Lettere era
già stata anticipata in un articolo di Mario Montagnana,
Gli scritti inediti di Antonio Gramsci, pubblicato sulla rivista
«Stato Operaio», New York, marzo-aprile 1942, insieme
ad alcuni estratti di Lettere dal carcere. Montagnana tuttavia
avvertiva che «i quaderni contenenti le note di Gramsci non
sono ancora pronti per la pubblicazione».
36 È da ricordare che pochi giorni dopo la
liberazione di Roma venne messo in circolazione (con la data 7
giugno 1944) il catalogo di una nuova casa editrice, «La
Nuova Biblioteca», che annunciava tra l'altro la
pubblicazione di Tutti gli scritti di Antonio Gramsci, a cura di
Palmiro Togliatti: il piano, preparato con la collaborazione di
Felice Platone, prevedeva cinque volumi, di cui due dedicati agli
«Scritti nel carcere». Secondo la testimonianza dt
Carlo Bernari, Togliatti interpellato aveva dato il suo assenso di
massima all'iniziativa, Tra i consulenti scientifici della nuova
casa editrice che non ebbe tuttavia lunga vita era Delio Canti
mori.
37 La prima descrizione analitica dei Quaderni
è nel lungo articolo di Felice Platone, L'eredità
letteraria di Gramsci: Relazione sui quaderni del carcere , in
«Rinascita», aprile 1946, pp. 81-90.
38 Sullo stato attuale delle edizioni degli scritti di
Gramsci precedenti l'arresto, e sui problemi che si pongono per il
loro riordinamento, cfr Valentino Germana, Note di filologia
gramsciana, in «Studi storici», gennaio-marzo ; 1975
cit.
39 Cfr, nella presente edizione, pp. 1842-43.
40 Per i due quaderni non numerati da Tania
perché già contrassegnati dai numeri provvisori ni e
ivbis, si è preferito per ragioni di uniformità, e
per evitare confusioni, integrare tra parentesi la numerazione
incompleta di Tania Schucht: si tratta dei quaderni 10 (xxxiii) e
18 (xxxii ivbis).
41 Cfr, nella presente edizione, p. 1755.