[Mat. Bibl.: Intellettuali (Gramsci, le sue idee nel nostro tempo. Editrice l'Unità , Roma 1987);
Ant.: Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura (Gramsci, Editori riuniti, 1996)
Ant.: Intellettuali (a cura di LC e LA)
Ant. Scuola e Educazione (a cura di LC e LA)]
1) Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico: l’imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura, di un nuovo diritto, ecc. ecc.
Occorre notare il fatto che l’imprenditore rappresenta una elaborazione sociale superiore, già caratterizzata da una certa capacità dirigente e tecnica (cioè intellettuale): egli deve avere una certa capacità tecnica, oltre che nella sfera circoscritta della sua attività e della sua iniziativa, anche in altre sfere, almeno in quelle più vicine alla produzione economica (deve essere un organizzatore di masse d’uomini, deve essere un organizzatore della «fiducia» dei risparmiatori nella sua azienda, dei compratori della sua merce ecc.).
Se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere una capacità di organizzatore della società in generale, in tutto il suo complesso organismo di servizi, fino all’organismo statale, per la necessità di creare le condizioni più favorevoli all’espansione della propria classe; o deve possedere per lo meno la capacità di scegliere i «commessi» (impiegati specializzati) cui affidare questa attività organizzatrice dei rapporti generali esterni all’azienda.
Si può osservare che gli intellettuali «organici» che ogni nuova classe crea con se stessa ed elabora nel suo sviluppo progressivo, sono per lo più «specializzazioni» di aspetti parziali dell’attività primitiva del tipo sociale nuovo che la nuova classe ha messo in luce. (Anche i signori feudali erano detentori di una particolare capacità tecnica, quella militare, ed è appunto dal momento in cui l’aristocrazia perde il monopolio della capacità tecnico‑militare che si inizia la crisi del feudalismo. Ma la formazione degli intellettuali nel mondo feudale e nel precedente mondo classico è una quistione da esaminare a parte: questa formazione ed elaborazione segue vie e modi che occorre studiare concretamente.
Così è da notare che la massa dei contadini, quantunque svolga una funzione essenziale nel mondo della produzione, non elabora proprii intellettuali «organici» e non «assimila» nessun ceto di intellettuali «tradizionali», quantunque dalla massa dei contadini altri gruppi sociali tolgano molti dei loro intellettuali e gran parte degli intellettuali tradizionali siano di origine contadina).
2) Ma ogni gruppo sociale «essenziale» emergendo alla storia dalla precedente struttura economica e come espressione di un suo sviluppo (di questa struttura), ha trovato, almeno nella storia finora svoltasi, categorie sociali preesistenti e che anzi apparivano come rappresentanti una continuità storica ininterrotta anche dai più complicati e radicali mutamenti delle forme sociali e politiche. La più tipica di queste categorie intellettuali è quella degli ecclesiastici, monopolizzatori per lungo tempo (per un’intera fase storica che anzi da questo monopolio è in parte caratterizzata) di alcuni servizi importanti: l’ideologia religiosa cioè la filosofia e la scienza dell’epoca, con la scuola, l’istruzione, la morale, la giustizia, la beneficenza, l’assistenza ecc.
La categoria degli ecclesiastici può essere considerata essere la categoria intellettuale organicamente legata all’aristocrazia fondiaria: era equiparata giuridicamente all’aristocrazia, con cui divideva l’esercizio della proprietà feudale della terra e l’uso dei privilegi‑statali legati alla proprietà. Ma il monopolio delle superstrutture da parte degli ecclesiastici (da esso è nata l’accezione generale di «intellettuale» – o di «specialista» – della parola «chierico», in molte lingue di origine neolatina o influenzate fortemente, attraverso il latino chiesastico, dalle lingue neolatine, col suo correlativo di «laico» nel senso di profano – non specialista) non è stato esercitato senza lotta e limitazioni, e quindi si è avuto il nascere, in varie forme (da ricercare e studiare concretamente) di altre categorie, favorite e ingrandite dal rafforzarsi del potere centrale del monarca, fino all’assolutismo. Così si viene formando l’aristocrazia della toga, con suoi propri privilegi; un ceto di amministratori ecc., scienziati, teorici, filosofi non ecclesiastici ecc.
Siccome queste varie categorie di intellettuali tradizionali sentono con «spirito di corpo» la loro ininterrotta continuità storica e la loro «qualifica», così essi pongono se stessi come autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante; questa auto‑posizione non è senza conseguenze nel campo ideologico e politico, conseguenze di vasta portata (tutta la filosofia idealista si può facilmente connettere con questa posizione assunta dal complesso sociale degli intellettuali e si può definire l’espressione di questa utopia sociale per cui gli intellettuali si credono «indipendenti», autonomi, rivestiti di caratteri loro proprii ecc.
Da notare però che se il papa e l’alta gerarchia della Chiesa si credono più legati a Cristo e agli apostoli di quanto non siano ai senatori Agnelli e Benni, lo stesso non è per Gentile e Croce, per esempio; il Croce, specialmente, si sente legato fortemente ad Aristotile e a Platone, ma egli non nasconde, anzi, di essere legato ai senatori Agnelli e Benni e in ciò appunto è da ricercare il carattere più rilevato della filosofia del Croce.
Quali sono i limiti «massimi» dell’accezione di «intellettuale»? Si può trovare un criterio unitario per caratterizzare ugualmente tutte le diverse e disparate attività intellettuali e per distinguere queste nello stesso tempo e in modo essenziale dalle attività degli altri raggruppamenti sociali?
L’errore metodico più diffuso mi pare quello di aver cercato questo criterio di distinzione nell’intrinseco delle attività intellettuali e non invece nell’insieme del sistema di rapporti in cui esse (e quindi i gruppi che le impersonano) vengono a trovarsi nel complesso generale dei rapporti sociali.
E invero l’operaio o proletario, per esempio, non è specificamente caratterizzato dal lavoro manuale o strumentale (a parte la considerazione che non esiste lavoro puramente fisico e che anche l’espressione del Taylor di «gorilla ammaestrato» è una metafora per indicare un limite in una certa direzione: in qualsiasi lavoro fisico, anche il più meccanico e degradato, esiste un minimo di qualifica tecnica, cioè un minimo di attività intellettuale creatrice), ma da questo lavoro in determinate condizioni e in determinati rapporti sociali.
Ed è stato già osservato che l’imprenditore, per la sua stessa funzione, deve avere in una certa misura un certo numero di qualifiche di carattere intellettuale, sebbene la sua figura sociale sia determinata non da esse ma dai rapporti generali sociali che appunto caratterizzano la posizione dell’imprenditore nell’industria.
Tutti gli uomini sono intellettuali, si potrebbe dire perciò; ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali (così, perché può capitare che ognuno in qualche momento si frigga due uova o si cucisca uno strappo della giacca, non si dirà che tutti sono cuochi e sarti). Si formano così storicamente delle categorie specializzate per l’esercizio della funzione intellettuale, si formano in connessione con tutti i gruppi sociali ma specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante.
Una delle caratteristiche più rilevanti di ogni gruppo che si sviluppa verso il dominio è la sua lotta per l’assimilazione e la conquista «ideologica» degli intellettuali tradizionali, assimilazione e conquista che è tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici.
L’enorme sviluppo preso dall’attività e dall’organizzazione scolastica (in senso largo) nelle società sorte dal mondo medioevale indica quale importanza abbiano assunto nel mondo moderno le categorie e le funzioni intellettuali: come si è cercato di approfondire e dilatare l’«intellettualità» di ogni individuo, così si è anche cercato di moltiplicare le specializzazioni e di affinarle. Ciò risulta dalle istituzioni scolastiche di diverso grado, fino agli organismi per promuovere la così detta «alta cultura», in ogni campo della scienza e della tecnica.
Da notare che l’elaborazione dei ceti intellettuali nella realtà concreta non avviene su un terreno democratico astratto, ma secondo processi storici tradizionali molto concreti. Si sono formati dei ceti che tradizionalmente «producono» intellettuali e sono quelli stessi che di solito sono specializzati nel «risparmio», cioè la piccola e media borghesia terriera e alcuni strati della piccola e media borghesia cittadina.
La diversa distribuzione dei diversi tipi di scuole (classiche e professionali) nel territorio «economico» e le diverse aspirazioni delle varie categorie di questi ceti determinano o danno forma alla produzione dei diversi rami di specializzazione intellettuale.
Così in Italia la borghesia rurale produce specialmente funzionari statali e professionali liberi, mentre la borghesia cittadina produce tecnici per l’industria: e perciò l’Italia settentrionale produce specialmente tecnici e l’Italia meridionale specialmente funzionari e professionisti.
Il rapporto tra gli intellettuali e il mondo della produzione non è immediato, come avviene per i gruppi sociali fondamentali, ma è mediato, in diverso grado, da tutto il tessuto sociale, dal complesso delle superstrutture, di cui appunti gli intellettuali sono i «funzionari». Si potrebbe misurare l’«organicità» dei diversi strati intellettuali, la loro più o meno stretta connessione con un gruppo sociale fondamentale, fissando una gradazione delle funzioni e delle soprastrutture dal basso in alto (dalla base strutturale in su).
Si possono, per ora, fissare due grandi «piani» superstrutturali, quello che si può chiamare della «società civile», cioè dell’insieme di organismi volgarmente detti «privati» e quello della «società politica o Stato» e che corrispondono alla funzione di «egemonia» che il gruppo dominante esercita in tutta la società e a quello di «dominio diretto» o di comando che si esprime nello Stato e nel governo «giuridico». Queste funzioni sono precisamente organizzative e connettive.
Gli intellettuali sono i «commessi» del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo politico, cioè: 1) del consenso «spontaneo» dato dalle grandi masse della popolazione all’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce «storicamente» dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante dal gruppo dominante dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione; 2) dell’apparato di coercizione statale che assicura «legalmente» la disciplina di quei gruppi che non «consentono» né attivamente né passivamente, ma è costituito per tutta la società in previsione dei momenti di crisi nel comando e nella direzione in cui il consenso spontaneo vien meno.
Questa impostazione del problema dà come risultato un’estensione molto grande del concetto di intellettuale, ma solo così è possibile giungere a una approssimazione concreta della realtà. Questo modo di impostare la questione urta contro preconcetti di casta: è vero che la stessa funzione organizzativa dell’egemonia sociale e del dominio statale dà luogo a una certa divisione del lavoro e quindi a tutta una gradazione di qualifiche, in alcune delle quali non appare più alcuna attribuzione direttiva e organizzativa: nell’apparato di direzione sociale e statale esiste tutta una serie di impieghi di carattere manuale e strumentale (di ordine e non di concetto, di agente e non di ufficiale o funzionario ecc.), ma evidentemente occorre fare questa distinzione, come occorrerà farne anche qualche altra.
Infatti l’attività intellettuale deve essere distinta in gradi anche dal punto di vista intrinseco, gradi che nei momenti di estrema opposizione danno una vera e propria differenza qualitativa: nel più alto gradino saranno da porre i creatori delle varie scienze, della filosofia, dell’arte, ecc.; nel più basso i più umili «amministratori» e divulgatori della ricchezza intellettuale già esistente, tradizionale, accumulata. L’organismo militare, anche in questo caso, offre un modello di queste complesse graduazioni: ufficiali subalterni, ufficiali superiori, Stato maggiore; e non bisogna dimenticare i graduati di truppa, la cui importanza reale è superiore a quanto di solito si pensi. È interessante notare che tutte queste parti si sentono solidali e anzi che gli strati inferiori manifestano un più appariscente spirito di corpo e traggono da esso una «boria» che spesso li espone ai frizzi e ai motteggi.
Nel mondo moderno, la categoria degli intellettuali, così intesa, si è ampliata in modo inaudito. Sono state elaborate dal sistema sociale democratico‑burocratico masse imponenti, non tutte giustificate dalle necessità sociali della produzione, anche se giustificate dalle necessità politiche del gruppo fondamentale dominante. Quindi la concezione loriana del «lavoratore» improduttivo (ma improduttivo per riferimento a chi e a quale modo di produzione?), che potrebbe in parte giustificarsi se si tiene conto che queste masse sfruttano la loro posizione per farsi assegnare taglie ingenti sul reddito nazionale. La formazione di massa ha standardizzato gli individui e come qualifica individuale e come psicologia, determinando gli stessi fenomeni che in tutte le altre masse standardizzate: concorrenza che pone la necessità dell’organizzazione professionale di difesa, disoccupazione, superproduzione scolastica, emigrazione ecc.
Il punto centrale della quistione rimane la distinzione tra intellettuali, categoria organica di ogni gruppo sociale fondamentale e intellettuali, come categoria tradizionale; distinzione da cui scaturisce tutta una serie di problemi e di possibili ricerche storiche. Il problema più interessante è quello che riguarda, se considerato da questo punto di vista, il partito politico moderno, le sue origini reali, i suoi sviluppi, le sue forme. Cosa diventa il partito politico in ordine al problema degli intellettuali?
Occorre fare alcune distinzioni:
1) per alcuni gruppi sociali il partito politico è niente altro che il modo proprio di elaborare la propria categoria di intellettuali organici, che si formano così e non possono non formarsi, dati i caratteri generali e le condizioni di formazione, di vita e di sviluppo del gruppo sociale dato, direttamente nel campo politico e filosofico e non già nel campo della tecnica produttiva (nel campo della tecnica produttiva si formano quegli strati che si può dire corrispondono ai «graduati di truppa» nell’esercito, cioè gli operai qualificati e specializzati in città e in modo più complesso i mezzadri e coloni in campagna, poiché il mezzadro e il colono in generale corrisponde piuttosto al tipo artigiano, che è l’operaio qualificato di una economia medioevale);
2) il partito politico, per tutti i gruppi, è appunto il meccanismo che nella società civile compie la stessa funzione che compie lo Stato in misura più vasta e più sinteticamente, nella società politica, cioè procura la saldatura tra intellettuali organici di un dato gruppo, quello dominante, e intellettuali tradizionali, e questa funzione il partito compie appunto in dipendenza della sua funzione fondamentale che è quella di elaborare i proprii componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come «economico», fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all’organico sviluppo di una società integrale, civile e politica.
Si può dire anzi che nel suo ambito il partito politico compia la sua funzione molto più compiutamente e organicamente di quanto lo Stato compia la sua in ambito più vasto: un intellettuale che entra a far parte del partito politico di un determinato gruppo sociale, si confonde con gli intellettuali organici del gruppo stesso, si lega strettamente al gruppo, ciò che non avviene attraverso la partecipazione alla vita statale che mediocremente e talvolta affatto. Anzi avviene che molti intellettuali pensino di essere lo Stato, credenza, che, data la massa imponente della categoria, ha talvolta conseguenze notevoli e porta a complicazioni spiacevoli per il gruppo fondamentale economico che realmente è lo Stato.
Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali, ecco un’affermazione che può prestarsi allo scherzo e alla caricatura; pure, se si riflette, niente di più esatto. Sarà da fare distinzione di gradi, un partito potrà avere una maggiore o minore composizione del grado più alto o di quello più basso, non è ciò che importa: importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale.
Un commerciante non entra a far parte di un partito politico per fare del commercio, né un industriale per produrre di più e a costi diminuiti, né un contadino per apprendere nuovi metodi di coltivare la terra, anche se alcuni aspetti di queste esigenze del commerciante, dell’industriale, del contadino possono trovare soddisfazione nel partito politico (l’opinione generale contraddice a ciò, affermando che il commerciante, l’industriale, il contadino «politicanti» perdono invece di guadagnare, e sono i peggiori della loro categoria, ciò che può essere discusso). Per questi scopi, entro certi limiti, esiste il sindacato professionale in cui l’attività economico‑corporativa del commerciante, dell’industriale, del contadino, trova il suo quadro più adatto.
Nel partito politico gli elementi di un gruppo sociale economico superano questo momento del loro sviluppo storico e diventano agenti di attività generali, di carattere nazionale e internazionale. Questa funzione del partito politico dovrebbe apparire molto più chiara da un’analisi storica concreta del come si sono sviluppate le categorie organiche degli intellettuali e quelle tradizionali sia nel terreno delle varie storie nazionali sia in quello dello sviluppo dei vari gruppi sociali più importanti nel quadro delle diverse nazioni, specialmente di quei gruppi la cui attività economica è stata prevalentemente strumentale.
La formazione degli intellettuali tradizionali è il problema storico più interessante. Esso è certamente legato alla schiavitù del mondo classico e alla posizione dei liberti di origine greca e orientale nell’organizzazione sociale dell’Impero romano. Questo distacco non solo sociale ma nazionale, di razza, tra masse notevoli di intellettuali e la classe dominante dell’Impero romano si riproduce dopo la caduta dell’Impero tra guerrieri germanici e intellettuali di origine romanizzati, continuatori della categoria dei liberti. Si intreccia con questi fenomeni il nascere e lo svilupparsi del cattolicismo e dell’organizzazione ecclesiastica che per molti secoli assorbe la maggior parte delle attività intellettuali ed esercita il monopolio della direzione culturale, con sanzioni penali per chi vuole opporsi o anche eludere il monopolio.
§3 Quando si distingue tra intellettuali e non‑intellettuali in realtà ci si riferisce solo alla immediata funzione sociale della categoria professionale degli intellettuali, cioè si tiene conto della direzione in cui grava il peso maggiore della attività specifica professionale, se nell’elaborazione intellettuale o nello sforzo muscolare‑nervoso. Ciò significa che se si può parlare di intellettuali, non si può parlare di non-intellettuali, perché non‑intellettuali non esistono. Ma lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale‑cerebrale e sforzo muscolare‑nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di attività specifica intellettuale.
Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un «filosofo», un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare.
Il problema della creazione di un nuovo ceto intellettuale consiste pertanto nell’elaborare criticamente l’attività intellettuale che in ognuno esiste in un certo grado di sviluppo, modificando il suo rapporto con lo sforzo muscolare-nervoso verso un nuovo equilibrio e ottenendo che lo stesso sforzo muscolare‑nervoso, in quanto elemento di un’attività pratica generale, che innova perpetuamente il mondo fisico e sociale, diventi il fondamento di una nuova e integrale concezione del mondo.
Il tipo tradizionale e volgarizzato dell’intellettuale è dato dal letterato, dal filosofo, dall’artista. Perciò i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i «veri» intellettuali.
Nel mondo moderno l’educazione tecnica, strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Su questa base ha lavorato l’«Ordine Nuovo» settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo e per determinarne i nuovi concetti, e questa non è stata una delle minori ragioni del suo successo, perché una tale impostazione corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme allo sviluppo delle forme reali di vita.
Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, «persuasore permanentemente» perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica‑lavoro giunge alla tecnica‑scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane «specialista» e non si diventa «dirigente» (specialista + politico).
§1 [continua dal] Aspetti diversi della quistione degli intellettuali, oltre quelli sopra accennati. Occorre farne un prospetto organico, sistematico e ragionato. Registro delle attività di carattere prevalentemente intellettuale. Istituzioni legate all’attività culturale. Metodo e problemi di metodo del lavoro intellettuale e culturale, sia creativo che divulgativo. Scuola, accademia, circoli di diverso tipo come istituzioni di elaborazione collegiale della vita culturale. Riviste e giornali come mezzi per organizzare e diffondere determinati tipi di cultura.
Si può osservare in generale che nella civiltà moderna tutte le attività pratiche sono diventate così complesse e le scienze si sono talmente intrecciate alla vita che ogni attività pratica tende a creare una scuola per i propri dirigenti e specialisti e quindi a creare un gruppo di intellettuali specialisti di grado più elevato, che insegnino in queste scuole. Così accanto al tipo di scuola che si potrebbe chiamare «umanistica», ed è quello tradizionale più antico, e che era rivolta a sviluppare in ogni individuo umano la cultura generale ancora indifferenziata, la potenza fondamentale di pensare e di sapersi dirigere nella vita, si è andato creando tutto un sistema di scuole particolari di vario grado, per intere branche professionali o per professioni già specializzate e indicate con precisa individuazione.
§2 Osservazioni sulla scuola: per la ricerca del principio educativo.
Nelle scuole elementari due elementi si prestavano all’educazione e alla formazione dei bambini: le prime nozioni di scienze naturali e le nozioni di diritti e doveri del cittadino. Le nozioni scientifiche dovevano servire a introdurre il bambino nella «societas rerum», i diritti e doveri nella vita statale e nella società civile. Le nozioni scientifiche entravano in lotta con la concezione magica del mondo e della natura che il bambino assorbe dall’ambiente impregnato di folclore, come le nozioni di diritti e doveri entrano in lotta con le tendenze alla barbarie individualistica e localistica, che è anch’essa un aspetto del folclore.
La scuola col suo insegnamento lotta contro il folclore, con tutte le sedimentazioni tradizionali di concezioni del mondo per diffondere una concezione più moderna, i cui elementi primitivi e fondamentali sono dati dall’apprendimento dell’esistenza delle leggi della natura come qualcosa di oggettivo e di ribelle a cui occorre adattarsi per dominarle, e delle leggi civili e statali che sono un prodotto di un’attività umana, che sono stabilite dall’uomo e possono essere dall’uomo mutate per i fini del suo sviluppo collettivo; la legge civile e statale ordina gli uomini nel modo storicamente più conforme a dominare le leggi della natura, cioè a facilitare il loro lavoro, che è il modo proprio dell’uomo di partecipare attivamente alla vita della natura per trasformarla e socializzarla sempre più profondamente ed estesamente.
Si può dire perciò che il principio educativo che fondava le scuole elementari era il concetto di lavoro, che non può realizzarsi in tutta la sua potenza di espansione e di produttività senza una conoscenza esatta e realistica delle leggi naturali e senza un ordine legale che regoli organicamente la vita degli uomini tra di loro, ordine che deve essere rispettato per convinzione spontanea e non solo per imposizione esterna, per necessità riconosciuta e proposta a se stessi come libertà e non per mera coercizione.
Il concetto e il fatto del lavoro (dell’attività teorico‑pratica) è il principio educativo immanente nella scuola elementare, poiché l’ordine sociale e statale (diritti e doveri) è dal lavoro introdotto e identificato nell’ordine naturale. Il concetto dell’equilibrio tra ordine sociale e ordine naturale sul fondamento del lavoro, dell’attività teorico‑pratica dell’uomo, crea i primi elementi di una intuizione del mondo, liberata da ogni magia e stregoneria, e dà l’appiglio allo sviluppo ulteriore di una concezione storica, dialettica, del mondo, a comprendere il movimento e il divenire, a valutare la somma di sforzi e di sacrifizi che è costato il presente al passato e che l’avvenire costa al presente, a concepire l’attualità come sintesi del passato, di tutte le generazioni passate, che si proietta nel futuro.
Questo è il fondamento della scuola elementare; che esso abbia dato tutti i suoi frutti, che nel corpo dei maestri ci sia stata la consapevolezza del loro compito e del contenuto filosofico del loro compito, è altra quistione, connessa alla critica del grado di coscienza civile di tutta la nazione, di cui il corpo magistrale era solo un’espressione, immeschinita ancora, e non certo un’avanguardia.
Non è completamente esatto che l’istruzione non sia anche educazione: l’aver insistito troppo in questa distinzione è stato grave errore della pedagogia idealistica e se ne vedono già gli effetti nella scuola riorganizzata da questa pedagogia. Perché l’istruzione non fosse anche educazione bisognerebbe che il discente fosse una mera passività, un «meccanico recipiente» di nozioni astratte, ciò che è assurdo e del resto viene «astrattamente» negato dai sostenitori della pura educatività appunto contro la mera istruzione meccanicistica. Il «certo» diventa «vero» nella coscienza del fanciullo.
Ma la coscienza del fanciullo non è alcunché di «individuale» (e tanto meno di individuato), è il riflesso della frazione di società civile cui il fanciullo partecipa, dei rapporti sociali quali si annodano nella famiglia, nel vicinato, nel villaggio ecc. La coscienza individuale della stragrande maggioranza dei fanciulli riflette rapporti civili e culturali diversi e antagonistici con quelli che sono rappresentati dai programmi scolastici: il «certo» di una cultura progredita, diventa «vero» nei quadri di una cultura fossilizzata e anacronistica, non c’è unità tra scuola e vita, e perciò non c’è unità tra istruzione e educazione.
Perciò si può dire che nella scuola il nesso istruzione‑educazione può solo essere rappresentato dal lavoro vivente del maestro, in quanto il maestro è consapevole dei contrasti tra il tipo di società e di cultura che egli rappresenta e il tipo di società e di cultura rappresentato dagli allievi ed è consapevole del suo compito che consiste nell’accelerare e nel disciplinare la formazione del fanciullo conforme al tipo superiore in lotta col tipo inferiore. Se il corpo magistrale è deficiente e il nesso istruzione‑educazione viene sciolto per risolvere la quistione dell’insegnamento secondo schemi cartacei in cui l’educatività è esaltata, l’opera del maestro risulterà ancor più deficiente: si avrà una scuola retorica, senza serietà, perché mancherà la corposità materiale del certo, e il vero sarà vero di parole, appunto retorica.
La degenerazione si vede ancor meglio nella scuola media, per i corsi di letteratura e filosofia. Prima gli allievi, per lo meno, si formavano un certo «bagaglio» o «corredo» (secondo i gusti) di nozioni concrete: ora che il maestro deve essere specialmente un filosofo e un esteta, l’allievo trascura le nozioni concrete e si «riempie la testa» di formule e parole che per lui non hanno senso, il più delle volte, e che vengono subito dimenticate.
La lotta contro la vecchia scuola era giusta, ma la riforma non era cosa così semplice come pareva, non si trattava di schemi programmatici, ma di uomini, e non degli uomini che immediatamente sono maestri, ma di tutto il complesso sociale di cui gli uomini sono espressione. In realtà un mediocre insegnante può riuscire a ottenere che gli allievi diventino più istruiti, non riuscirà ad ottenere che siano più colti; egli svolgerà con scrupolo e coscienza burocratica la parte meccanica della scuola e l’allievo, se è un cervello attivo, ordinerà per conto suo, e con l’aiuto del suo ambiente sociale, il «bagaglio» accumulato.
Coi nuovi programmi, che coincidono con un abbassamento generale del livello del corpo insegnante, non vi sarà «bagaglio» del tutto da ordinare. I nuovi programmi avrebbero dovuto abolire completamente gli esami; dare un esame, ora, dev’essere terribilmente più «gioco d’azzardo» d’una volta. Una data è sempre una data, qualsiasi professore esamini, e una «definizione» è sempre una definizione; ma un giudizio, un’analisi estetica o filosofica?
La scuola tradizionale è stata oligarchica perché destinata alla nuova generazione dei gruppi dirigenti, destinata a sua volta a diventare dirigente: ma non era oligarchica per il modo del suo insegnamento. Non è l’acquisto di capacità direttive, non è la tendenza a formare uomini superiori che dà l’impronta sociale a un tipo di scuola. L’impronta sociale è data dal fatto che ogni gruppo sociale ha un proprio tipo di scuola, destinato a perpetuare in questi strati una determinata funzione tradizionale, direttiva o strumentale.
Se si vuole spezzare questa trama, occorre dunque non moltiplicare e graduare i tipi di scuola professionale, ma creare un tipo unico di scuola preparatoria (elementare‑media) che conduca il giovinetto fino alla soglia della scelta professionale, formandolo nel frattempo come persona capace di pensare, di studiare, di dirigere o di controllare chi dirige.
Il moltiplicarsi di tipi di scuola professionale tende dunque a eternare le differenze tradizionali, ma siccome, in queste differenze, tende a suscitare stratificazioni interne, ecco che fa nascere l’impressione di una sua tendenza democratica. Manovale e operaio qualificato, per esempio; contadino e geometra o piccolo agronomo ecc. Ma la tendenza democratica, intrinsecamente, non può solo significare che un operaio manovale diventa qualificato, ma che ogni «cittadino» può diventare «governante» e che la società lo pone, sia pure «astrattamente», nelle condizioni generali di poterlo diventare; la democrazia politica tende a far coincidere governanti e governati (nel senso del governo col consenso dei governati), assicurando a ogni governato l’apprendimento gratuito della capacità e della preparazione tecnica generale necessarie al fine.
Ma il tipo di scuola che si sviluppa come scuola per il popolo non tende neanche più a mantenere l’illusione, poiché essa si organizza sempre più in modo da restringere la base del ceto governante tecnicamente preparato, in un ambiente sociale politico che restringe ancor più l’«iniziativa privata» nel senso di dare questa capacità e preparazione tecnico‑politica, in modo che si ritorna in realtà alle divisioni di «ordini» giuridicamente fissati e cristallizzati più che al superamento delle divisioni in gruppi: il moltiplicarsi delle scuole professionali sempre più specializzate fin dall’inizio della carriera degli studi è una delle manifestazioni più vistose di questa tendenza.
Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare‑nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio, a domandare «facilitazioni». Molti pensano addirittura che le difficoltà siano artificiose, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale. La quistione è complessa.
Certo il fanciullo di una famiglia tradizionale di intellettuali supera più facilmente il processo di adattamento psico‑fisico; entrando già la prima volta in classe ha parecchi punti di vantaggio sui suoi compagni, ha un’orientazione già acquisita per le abitudini famigliari: si concentra nell’attenzione con più facilità, perché ha l’abito del contegno fisico ecc. Allo stesso modo il figlio di un operaio di città soffre meno entrando in fabbrica di un ragazzo di contadini o di un giovane contadino già sviluppato per la vita rurale. Anche il regime alimentare ha un’importanza ecc. ecc.
Ecco perché molti del popolo pensano che nella difficoltà dello studio ci sia un «trucco» a loro danno (quando non pensano di essere stupidi per natura): vedono il signore (e per molti, nelle campagne specialmente, signore vuol dire intellettuale) compiere con scioltezza e apparente facilità il lavoro che ai loro figli costa lacrime e sangue, e pensano ci sia un «trucco».
In una nuova situazione, queste quistioni possono diventare asprissime e occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Se si vorrà creare un nuovo strato di intellettuali, fino alle più grandi specializzazioni, da un gruppo sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini conformi, si avranno da superare difficoltà inaudite.
Mat.Bibl.: Scuola e principio educativo, da Gramsci le sue idee nel nostro tempo. Editrice l'Unità , Roma 1987