Atarassia
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Enciclopedia online
Termine già usato da Democrito, ma che venne particolarmente in uso
nella terminologia delle scuole postaristoteliche, epicurea, stoica
e scettica, per designare lo stato di serenità indifferente del
saggio, che contempla il mondo senza più subirne la pressione
affettiva. Il termine equivale ad apatia e adiaforia, più
propriamente cinico-stoici.
Dizionario di Filosofia (2009)
Dal gr. ἀταραξία «imperturbabilità». Il termine, già usato da
Democrito, venne particolarmente in uso nella terminologia delle
scuole postaristoteliche, epicurea, stoica e scettica, per designare
lo stato di serenità indifferente del saggio, che contempla il mondo
senza più subirne la pressione affettiva. In tal senso, il termine è
un equivalente di quelli, più propriamente cinico-stoici, di
apatia* e di adiaforia.
* Apatia
Dal gr. ἀπάϑεια «insensibilità». Stato di perfezione
contemplativa dello spirito, in cui nulla si aborre e nulla si
desidera, secondo la dottrina degli stoici e degli epicurei. L’a.
coincide sostanzialmente con l’adiaforia e l’atarassia ed è l’ideale
del saggio, e l’attributo per eccellenza del divino, quale è
concepito dagli epicurei. Attraverso Filone, soprattutto, il
concetto passò alla patristica e poi agli apologisti e ai padri
greci, da Clemente Alessandrino (che ne fa una caratteristica dello
«gnostico») a Origene e ai padri cappadoci, e al monachismo come
stato raggiungibile mediante la pratica delle virtù, la preghiera e
la mortificazione, da cui nasce l’amore o carità che conduce alla
contemplazione mistica (Evagrio Pontico; Cassiano: immobilis
tranquillitas animi). Ma in Occidente in genere l’a. come ideale fu
respinta: soprattutto da Lattanzio, s. Girolamo (che traduce il
termine greco con imperturbatio e impassibilitas) e s. Agostino.